La sottozona del Chianti denominata Rùfina, posizionata a nordest di Firenze, è famosa per la longevità dei suoi rossi, ma dà i natali anche questo bianco fatto “come una volta”. Ovvero il Canestrino di Cerreto Libri
Trebbiano e Malvasia (90 e 10) coltivate seguendo il metodo di vinificazione stabilito dalla carta qualità dell’associazione “Renaissance des Appellations“, macerazione sulle bucce di 24/36 ore e lungo affinamento sulle fecce. Cemento.
Non proprio un orange, più un bianco fatto come un tempo.
Il suo colore è quello dell’Ambra lucida. Denso. Profumi misurati non esplosivi, inizialmente miele di trifoglio, poi sentori fruttati di nespola, albicocca disidratata, floreali di narciso.
Rispetto ad altre annate porta in dote un’acidità più contenuta e flessuosa e una componente tannica sottile, risultando al palato più morbido e corposo. Un buon finale con retrogusto di salvia e una sorprendente resistenza nel bicchiere. L’ultimo, abbandonato sulla tavola, il giorno seguente porge al naso ancora note piacevoli ed è integro al sorso.
Si suole dire che i cani finiscono per assomigliare al padrone. Non saprei dire, in un esercizio di analogie, se i vini possano finire per assomigliare ai vignaioli che ne hanno curato la produzione, ma posso dire che a me sembra che questo Barbera fatto dal Signor Flavio Roddolo somigli al Signor Flavio Roddolo. Non per i baffi.
Perché, come chi l’ha fatto, questo Barbera sembra d’acchito di poche parole apparentemente forzate quando invece si va avanti per ore a parlare e si attende il momento buono per andare in cantina a cercare la bottiglia giusta che allontani il tempo dei saluti.
Di colore rubino compatto. Al naso di presenta con discrezione, poi il suo ventaglio comincia a comporsi con sentori di cassis e prugna, spunti fungini e speziati di chiodo di garofano. Sembra animato da una forza oscura, incontrollata, possente. Al palato concentrazione di succo, intensità, freschezza oceanica e morbida che innesca una tensione rara. E non finisce mai. E mette d’accordo una platea variegata.
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On dit que les chiens finissent par ressembler à leur maître. Je ne peux pas dire, dans un exercice d’analogies, si les vins peuvent finir par ressembler aux viticulteurs qui ont pris soin de leur production, mais je peux dire qu’il me semble que cette Barbera faite par M. Flavio Roddolo ressemble à M. Flavio Roddolo. Pas pour la moustache. Parce que, comme ceux qui l’ont fait, cette Barbera semble à première vue quelques mots apparemment forcés quand vous continuez à parler pendant des heures et attendez le bon moment pour aller à la cave pour chercher la bonne bouteille qui enlève le temps de dire au revoir . Couleur rubis compacte. Au nez, il présente avec discrétion, puis son éventail commence à composer avec des notes de cassis et de prune, de clou de girofle fongique et épicé. Il semble animé par une force sombre, incontrôlée et puissante. En bouche concentration de jus, intensité, douceur douce et fraîcheur océanique qui déclenche une tension rare. Et ça ne finit jamais. Et un public varié l’apprécie.
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It is said that dogs end up looking like their master. I cannot say, in an exercise of analogies, if wines can end up resembling the winemakers who took care of their production, but I can say that it seems to me that this Barbera made by Mr. Flavio Roddolo resembles Mr. Flavio Roddolo. Not for the mustache. Because, like those who did it, this Barbera seems at first sight of a few apparently forced words when instead you go on talking for hours and wait for the right moment to go to the cellar to look for the right bottle that takes away the time to say goodbye .
Compact ruby color. Initially discrete, then hints of cassis and plum, fungal and spicy cloves. It seems animated by a dark, uncontrolled, powerful force. On the palate concentration of juice, intensity, soft and oceanic freshness that triggers a rare tension. And it never ends. And a variegated audience appreciated it.
Turpino di Querciabella viene fatto con le Uve dalle vigne aziendali in Maremma.
Blend di Cabernet Franc (40), Merlot (20) e Syrah (40). Biodinamico Steineriano in vigna. Fermentazione con lieviti indigeni. Affinamento in barrique nuove per il 20%
Consistente granato scuro. Turpino 2010 è un vino che si distingue per la sua elegante forza. Potente e dinamico al naso, dispiega un ventaglio aromatico complesso in cui risaltano i sentori di prugna e mora e accenni di tabacco dolce, spezie, di grafite e incenso.
{Nez puissant et dynamique, il déploie une gamme aromatique complexe dans laquelle se détachent les arômes de prune et de mûre et des notes de tabac doux, d’épices, de graphite et d’encens.}
(Powerful and dynamic on the nose, it unfolds a complex aromatic range in which the scents of plum and blackberry and hints of sweet tobacco, spices, graphite and incense stand out.)
Attacco caldo, aromatico e non di petto, acidità vellutata e viva, tannino rifinito e setoso.
Piacevole ritorno di frutti di bosco nel centro bocca e lungo finale dove si riverbera la freschezza.
A volergli trovare per forza un punto debole si potrebbe dire che un po’ di corpo, di volume in più avrebbe forse giovato, ma resta la sensazione di aver bevuto un ottimo vino che è ulteriore conferma della vocazione di Querciabella per vini eleganti e puliti.
Per questo Piastraia Bolgheri DocMichele Satta unisce il succo d’un quartetto di vitigni. Cabernet Sauvignon, Merlot, Sangiovese e Syrah in parti uguali.
20 giorni di troncoconico a vitigni separati e poi 18/24 mesi di barriques per un quinto nuove.
Il vino che ne risulta è un campione di misurata potenza dalla veste di un bel rubino profondo, compatto, vivido.
Al naso è esuberante, complesso, ricco ed evoluto. Piccoli accenni floreali di viola, ma a dominare è il frutto a piena maturazione. Cassis, ribes nero, prugna essiccata, sentori di spezie dolci, di scorza d’arancia e cedro, note di tabacco. Il frutto ritorna nitidamente al palato e il sorso ha spessore e volume, freschezza viva e soffice e tannini smussati che animano il lungo finale dove torna anche la materia fruttata.
Un vino, questo Piastraia 2010, che si esprime adesso a un livello di gusto alto, puntando sull’equilibrio dei molti elementi di cui è composto, senza mai dare l’impressione di volerne tradire didascalicamente la presenza.
Uve nebbiolo da giovani vigne site in diversi comuni per questo Langhe Nebbiolo Vajra.
Affinamento in vasche d’acciaio con un minimo apporto di legni neutri prima dell’imbottigliamento.
Azienda sita in Barolo.
Non ho bevuto tutti i nebbioli del mondo, ma non ne ho nemmeno bevuti pochi. Probabilmente il Nebbiolo, in tutte le sue declinazioni, è il vitigno che ho incontrato più volte nel mio cammino e da che mi ricordi credo che questo Nebbiolo 2016 di Vajra sia il più floreale che abbia mai annusato/bevuto.
La veste è rubino chiaro, trasparente e vivo. Come premesso è un vino floreale, talmente floreale da risultare inebriante, come stare in un prato fiorito in piena primavera. Poi fragolina, cassis e ricordi dell’incenso che arde nel turibolo.
Il nitore, la levità, la fragranza e la raffinata semplicità dei profumi che compongono il ventaglio odoroso di questo Nebbiolo mi fanno pensare alla composta brillantezza di certe canzoni di Nick Drake.
Al palato si conferma. Acidità setosa e tesa, succo fresco, tannino gentile e un buon finale di frutta fresca per un sorso più che piacevole. Convincente. Per fedeltà alla tipologia e valori espressi.
Aluigi Le Cinciole – Panzano in Chianti 100% Sangiovese Biologico/biodinamico Cemento, elevazione in legno, ancora cemento.
Rosso rubino fitto.
Inizialmente sembra involuto, incastrato dentro sentori legnosi, ma col tempo si distende in un piacevole, seppur compìto, e tipico bouquet composto da molto mirtillo, note terragne e di incenso su ricordi di giaggiolo e scorza d’arancia. Al palato risulta di medio corpo per un sorso animato da freschezza e succo gentili e struttura tannica nobile e sottile. Buon finale dove in fase retrolfattiva tornano le note di frutto scuro e di spezie. Un vino che merita un pensiero alla volta dopo.
Si accompagnò con successo alla Lombatina di Manzo alla griglia.
Ribolla, Malvasia e Friulano. Cemento e Legno. Il Collio bianco di Edi Keber
Vino iconico ed esemplare che attraversa le annate mantenendo un livello qualitativo ragguardevole. Cosa che gli permette di presentarsi, anno dopo anno, all’enoappassionato che, mentre si sta incamminando verso la propria enoteca di fiducia, si chiede “il Collio di Keber quest’anno come sarà?” e confermare regolarmente le sue aspettative, rese alte dalle precedenti esperienze.
Bello e vivo il colore giallo che sembra sempre virare al verdolino, impattanti e piacevoli i profumi fruttati, di lime, pesca bianca e melone bianco o di Napoli su un fondo erbaceo fresco e di arbusto odoroso come l’osmanto.
Al palato il Collio di Keber risulta equilibrato, ma è un equilibrio trovato (o pensato) al massimo dell’espressione di tutte le sue componenti. Ha calore, succo, freschezza viva e una smisurata vena sapida. Finale lunghissimo con una piacevole coda di mandorla brasiliana.
Dire Chionetti è dire Dogliani. E dire Dogliani ovviamente è dire Dolcetto. Per il Dogliani Briccolero 20016 di Chionetti un anno di affinamento in cemento e una piccola parte in legno. Combina tipicità e immediatezza con una struttura da vino importante. Impenetrabile rubino con riflessi purpurei. Viola, ciliegia, mora e qualche accenno di liquirizia e spezie. Caldo e compatto al palato, l’intensità del gusto è il suo tratto distintivo. Una buona freschezza e un tannino netto che mette ordine al sorso nell’ottimo finale fruttato. Vino di grande personalità, ma al contempo di carattere gioviale.
Risale al 2012 la mia visita all’azienda di Bruno Nada. Eppure conservo intatto nella memoria il ricordo dell’accoglienza ricevuta, della sua generosità nel raccontarsi e nel raccontare la storia della sua famiglia e della disciplina necessaria alla vita dell’agricoltore. E ricordo molto bene i vini bevuti quel giorno. Resta ad oggi una delle esperienze più formative ed entusiasmanti nel mio percorso enoico.
Questa è una delle ultime bottiglie di quella trasferta, sopravvissuta a due traslochi e a una alluvione.
100% Nebbiolo (Lampia e Michet) 24 mesi di botte 6 mesi di bottiglia Treiso
Granato fitto e vivo il colore. Sornione d’acchìto, palesa con le ore un ricco bouquet.
Rosa essiccata, lampone e frutti di bosco maturi, si avvertono note di radice aromatica come rabarbaro e liquirizia, tabacco, qualche accenno boschivo. Attacco gustativo fresco, l’acidità si impone e imprime al sorso una accelerazione emozionante. Segue grande intensità di frutto, materia e succo vibranti, una trama tannica integra e ben integrata. Sapidità sottotraccia che si allunga sul finale dove torna coerentemente la radice. ___
L’assaggio ci parla di una bottiglia che può essere considerata vicina al vertice positivo della sua evoluzione. Che porta in dote al contempo grande dinamica gustativa ed equilibrio. Potenza verticale e grazia.
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The glass told us of a bottle that can be considered close to the positive point of its evolution. Which brings at the same time great gustatory dynamics and balance. Vertical power and grace.
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Le goût nous parle d’une bouteille qui peut être considérée comme proche du point positif de son évolution. Ce qui apporte à la fois une grande dynamique gustative et un bon équilibre. Puissance verticale et la grâce.
Colore rubino scuro. Consistente. Appena sturato è chiuso, oscuro. Lancia brevi segnali olfattivi, tutti riconducibili al legno e alle spezie, ma resta chiuso nel guscio. Assaggio, ma rimando al giorno seguente gli appunti e le conclusioni. A distanza di ventiquattro ore esprime un bouquet di tutto rispetto e mette in successione sentori di geranio, mirtillo, note eteree e di tabacco, sentori boisée per poi distendersi in una singolare coda di eucalipto, cannella e mirto. Al palato è caldo, molto caldo. Ha volume il sorso, forza e polpa, è un vino di struttura che che ingaggia un corpo a corpo con le papille gustative. Un vino tattile e muscolare, dotato di freschezza soffice e di un tannino robusto e che sviluppa in ampiezza, senza peraltro rinunciare a sorprendere anche in bocca con un persistente retrogusto finale di scorza d’arancio. È lecito pensare che questa grande potenza figlia dell’annata in un paio d’anni riesca a smorzarsi e a dare la possibilità a questo Nebbiolo di Claudio Alario di esprimersi al 100%. Dunque non resta dunque nient’altro da fare che darsi appuntamento al 2021.