La facciata di Amerigo 1934
Mangiare, Ristoranti/Trattorie

Trattoria da Amerigo 1934, a Savigno (Bologna)

Il Benestare – a tavola con L’Enonauta #2

Trattoria da Amerigo 1934, a Savigno (Bologna)

L’America era allora per me provincia dolce, mondo di pace
Perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta.
[Amerigo, Francesco Guccini]

Ah, Amerigo, Amerigo! Basta il suono della parola e a noi rabdomanti del benestare il cuore si illanguidisce e la bocca si inumidisce. Perché da anni, ormai sono quasi una decina, non passano sei mesi (o se passano lo fanno con grande malinconia) senza che si salga sulle nostre auto, si imbocchi da Pistoia la SS64, strada dei cantieri perenni, per superare l’ombrosa Porretta, lasciarsi alle spalle la statale all’incirca all’altezza di Vergato, inerpicarsi sui tornanti della bassa Valsamoggia su su verso Rodiano e oltre, fino a veleggiare sul crinale e poi scendere in picchiata verso Savigno con gli occhi già sprizzanti di felicità e l’addome che si prepara ad accogliere l’emozione, come un palcoscenico in attesa dell’apertura del sipario.

Il banco della sala principale
Il Benestare - a tavola con L'Enonauta #2 | Trattoria da Amerigo 1934 a Savigno (Bologna) | un luogo da cui si esce pensando a quando tornare

Il banco della sala principale

Se c’è un luogo che è il metro di ogni esperienza gastronomica, un luogo a cui ho pensato quando ho deciso di intitolare questa rubrica Il Benestare, quel luogo è Amerigo. Anzi Amerigo 1934, ché ormai son novant’anni da che si deve ad Amerigo Vespucci e alla moglie Agnese l’apertura di questo luogo incantato, all’epoca più snella mescita di vini con spaccio di altri prodotti e qualche pietanza da mettere sotto i denti, destinato a farsi tempio del sentimento dell’ospitalità, sin da quando in uno dei due locali del primo piano gli abitanti della frazione si riunivano di fronte alla prima sala tv del paese.

Tre grandi classici. Calzagatti, tigelle con gelato al parmigiano e battuta di mora modenese.
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Tre grandi classici: calzagatti, tigelle con gelato al parmigiano e battuta di bianca modenese con tartufo marzuolo

Novant’anni fa non c’eravamo ma sembra di respirare quello spirito antico nel modo in cui dal 1988 la trattoria (e adesso anche locanda) è stata trasformata e condotta dal nipote Alberto, che si trasforma anch’egli da aspirante architetto e globetrotter per una ditta di abbigliamento in magnifico patron nella nuova vita della trattoria. Riecheggiano qui, certo, quelle parole della canzone di Guccini intitolata proprio Amerigo, «Provincia dolce, mondo di pace, paradiso perduto», ma senza malinconia. Anzi. Perché se è pur vero che gli ambienti vogliono ribadire le proprie radici, lo fanno raccontando una propria storia sempre in evoluzione, dalle propaggini del liberty fino al passaggio di Gino Pellegrini, già scenografo per Disney, Hitchcock e Kubrick, che nel bolognese si stabilitì al rientro dagli Usa negli anni Settanta e a Savigno passò gli ultimi anni di vita; a lui si devono gli affreschi della seconda saletta del primo piano. Non è dunque semplicemente una scelta di design a esprimersi negli allestimenti ma la storia stessa, lo spirito del luogo, che è fatto dagli uomini e dalle donne che lo hanno animato e attraversato e lo vivono tutt’oggi, e che infatti di quegli uomini e donne esprime la temperatura umana, già dall’entrata, che può variare in base alle esigenze e alla stagione: talvolta direttamente nella sala principale, talvolta dalla bottega (riacquistata sul finire del secolo) in cui si possono trovare in vendita sughi e conserve del laboratorio gastronomico, ultimamente anche da una porticciola laterale adiacente alle cucine, quasi a ribadire il legame con le persone che sono il motore dell’officina dello star bene di cui godremo poco dopo.

Testina di maiale in cotoletta.

Testina di maiale in cotoletta

Sta in questa fedeltà non marmorizzata, credo, il segreto di questo posto. In un modo di vivere il presente senza disperdere il tesoro del passato ma senza nemmeno esserne prigionieri. Lo stesso vale per la cucina, guidata da Giacomo Orlandi. E se non possiamo che concordare con la Guida Michelin, che da 25 anni ormai riconosce una meritatissima stella ad Amerigo, non possiamo farlo quando parla di nostalgico viaggio nel passato della regione. Ma quale nostalgia? Ma quale viaggio nel passato? Il menu è una meraviglia di equilibrio tra la valorizzazione della tradizione e la sfida al presente, che si esprime anche in nuove interpretazioni delle ricette e nella ricerca continua di nuovi fornitori e prodotti di qualità dai colli circostanti (vengono ancora i brividi a ricordare un prosciutto di mora romagnola stagionato oltre 50 mesi degustato ormai qualche anno fa… forse di Zivieri? O di Ca’ Lumaco?).

Tortelli ripieni di parmigiano con prosciutto di mora cotto al forno.
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Tortelli ripieni di parmigiano con prosciutto di mora cotto al forno

Ecco, più che al tempo, più che al passato, la fedeltà è al luogo, al territorio e a quanto di buono può offrire, nel momento in cui lo offre. E allora vai coi funghi rigorosamente di stagione (nell’ultima nostra visita tanti i piatti con le spugnole), le erbe spontanee, gli ortaggi biologici coltivati a chilometro zero e le carni locali: cervo, capretto, coniglio, cacciagione del giorno, ma anche tagli e salumi di mora romagnola e soprattutto la valorizzazione della bianca modenese, vacca autoctona a rischio estinzione, addirittura esaltata in una battuta al coltello realizzata con il diaframma dell’animale. Non può mancare naturalmente una sfoglia magistrale (arte tramandata Giuliana e Marisa, mamma e zia di Alberto, alle nuove sfogline), coi tortellini in brodo tra i più buoni che si possa aver la fortuna di mangiare e il piatto che per me è proprio l’apice del godimento gastronomico, i Tortelli ripieni di parmigiano con prosciutto di mora cotto nel forno a legna, un concentrato di libidini per tutti sensi: dal gusto (ovviamente!) alla vista, all’olfatto, alla carezzevole consistenza; manca solo l’udito ma ad averne davanti un piatto nel silenzio della notte, avvicinandosi per ascoltarli, sono sicuro che li udiremmo parlare e raccontare storie su storie. Come fa tutto il menu, che testimonia anche nella struttura il già descritto sentimento del tempo non come nostalgia ma come storia in evoluzione, indicando su ogni pietanza la data nella quale è stata proposta la prima volta. Si può svariare quindi dai “grandi classici” senza data come le tagliatelle o i tortellini fino ai più recenti Doppia sfoglia lorda con le spugnole e Controfiletto di bovino locale grigliato, cardi al latte, spugnole e tartufo nero pregiato (2023), passando per i piatti per così dire iconici del locale, come le Tigelle con gelato di parmigiano all’aceto balsamico tradizionale affinato, del 2001, la Giardiniera di verdure, lingua, guancia, cotechino e salvia (2016), la Guancia di vitella brasata al barbera con purè e piccolo fritto di cipolla rossa (1997), il Capocollo di maiale brado di razza mora arrosto, fegatino all’alloro, broccolo fiolaro e mela senapata (2003), giusto per dire alcune delle cose meravigliose provate negli anni e trovate con piacere in offerta anche nella nostra ultima visita, ché i piatti di Amerigo, come certi amori, fanno dei giri immensi e poi ritornano.

Capocollo, capretto e cervo.

Tre carni: capocollo, capretto e cervo

Gli stessi sentimenti animano anche la carta dei vini, o meglio le carte dei vini. Una più consueta, nazionale e internazionale, di qualità, come ci si può attendere in una trattoria di tale alto livello, e una che è una vera e propria bibbia sentimentale della viticoltura locale, con oltre cento referenze di vini dei colli bolognesi pronti a esprimere la personalità del luogo e, va detto, a stupire e sventare tanti pregiudizi. Ma in quanto al bere mi piace sottolineare anche la non comune buona accoglienza di Alberto agli ospiti che si portano le proprie bottiglie speciali, custodite magari a lungo nelle proprie cantine in attesa di un’occasione particolare, o semplicemente di poterle condividere in amicizia (anche con l’oste) in accoppiamento con una cucina all’altezza.

Cremoso al cioccolato, zabajone e cialde croccanti.
Il Benestare - a tavola con L'Enonauta #2 | Trattoria da Amerigo 1934 a Savigno (Bologna) | un luogo da cui si esce pensando a quando tornare

Trattoria da Amerigo a Savigno – Cremoso al cioccolato, zabajone e cialde croccanti

Infine, a dimostrazione di una vera vocazione all’ospitalità, va detto che resistono nella carta due menu degustazione, uno prettamente stagionale e un altro di presentazione dei piatti forti della storia del ristorante, ad un rapporto qualità/prezzo (il menu classico attualmente è a 50 euro da antipasto a dolce) che è un vero abbraccio della trattoria a tutti gli enonauti e gastronauti che vogliano oltrepassarne la soglia.

Lo sapete anche voi, non capita spesso di uscire da un pranzo “fuori” addirittura con un senso di graditudine. Magicamente è quello che succede qui, e la magia si ripete ogni volta. Tanto che lungo i tornanti del rientro, tra gli entusiasmi e la felicità e la sazietà, sorge anche immancabilmente lo stesso interrogativo: «Ragazzi, quando ci si torna?»

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Bottiglie, Degustazioni, Eventi, Luoghi del Vino

La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023)

“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” cantava il poeta. Se sostituiamo al sole la nebbia, sembra proprio il succo di quel che si scopre esplorando i 17 banchi di assaggio di La rivoluzione a Montespertoli, giovane, piccola e (lo dico a posteriori) preziosa manifestazione a cui L’Enonauta si affaccia con curiosità in una silenziosa domenica novembrina, ovattata da quella sottile nebbiolina autunnale che non può che incentivare la voglia di colorare l’anima dal di dentro con qualche buon calice. Come se ce ne fosse bisogno…

Eventi Vino #6 - 2023 - La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023) | assaggi dall'evento dedicato al vino di Montespertoli
La rivoluzione a Montespertoli

Lo slogan rivoluzionario è meno peregrino di quel che si possa maliziosamente pensare di fronte a una qualsiasi invenzione di marketing. Si respira davvero un’atmosfera lontana dal mainstream fieristico, e non solo per la dimensione e l’affluenza molto contenuta della mattina, ma anche nelle parole più sottolineate e, soprattutto, nei calici degustati. Quella di Montespertoli è una rivoluzione che guarda contemporaneamente ai due orizzonti, solo apparentemente opposti, del passato e del futuro, così come nell’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli, promotrice dell’iniziativa, convivono le radici della tradizione vinicola artigianale del territorio e l’energia propulsiva, innovativa e contagiosa delle nuove generazioni che stanno guidando questa nuova stagione. L’Associazione stessa rinasce sulle ceneri di una precedente non fortunatissima esperienza.

Eventi Vino #6 - 2023 - La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023) | assaggi dall'evento dedicato al vino di Montespertoli

Del resto la bipolarizzazione ci pare anche la caratteristica più tangibile dell’identità enologica del territorio di Montespertoli, che è il comune più vitato della Toscana e il maggior produttore di Chianti DOCG del mondo, ma soffre forse di un deficit di identità a causa delle divisione tra due sottozone che finora hanno faticato a integrarsi in una strategia comune: quella più consolidata del Chianti Colli Fiorentini DOCG e quella del Chianti Montespertoli DOCG.

Eventi Vino #6 - 2023 - La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023) | assaggi dall'evento dedicato al vino di Montespertoli

Alla ricerca di un nuovo spazio di comunicabile riconoscibilità nel panorama affollato del vino toscano i 17 viticoltori associati e presenti in fiera stanno ora tracciando, e assai velocemente, una strada che da una parte sembra riportare alle proprie origini, alla valorizzazione dell’identità territoriale, alla naturalezza dei processi, al rapporto gioioso tra vino e convivialità, rifiutando di farsi condizionare dalle tendenze del ricco mercato internazionale che tanto ha influito sullo sviluppo della toscana enologica, e dall’altra aprono a uno spazio di creatività con tantissime escursioni fuori disciplinare che colpiscono per varietà e livello qualitativo in un range tanto contenuto di produttori e territorio. Il tutto sempre nel segno della freschezza e della piacevolezza ma senza eccessi di semplificazione, e con prezzi che restano mediamente in un range che non appesantisce i pensieri. Insomma, vini per gente a cui piace bere più che cincischiare, ma che il vino ce l’ha nel sangue e non si accontenta facilmente.

Eventi Vino #6 - 2023 - La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023) | assaggi dall'evento dedicato al vino di Montespertoli

Via allora alla rivalutazione dell’uso della bacca bianca nel Chianti, in particolare con le interpretazioni del Castello di Sonnino, che realizza un Chianti Montespertoli in ammirevole equilibrio tra ricchezza e bevibilità, e quella di Valleprima che con malvasia e trebbiano va a a ingentilire una riserva, il suo Chianti Riserva DOCG Terre d’Argilla, di estrema freschezza.

E il trebbiano ha una sua bella parte in scena. Tra le interpretazioni del trebbiano in purezza da ricordare, anzi da bere, per la gustosa coesistenza di ricchezza di frutto e sapidità almeno l’autunnale Virginio di Sonnino, ma anche il più estivo Cantagrillo di La Leccia. Discorso a parte per Lupinella Bianca, il trebbiano di Lupinella, cantina che rimette nel circolo della propria produzione enologica l’antica arte familiare della lavorazione dell’argilla e dalla vinificazione in otri di terracotta estrae un vino di sorprendente espressività. Espressività che è il tratto comune dei vini della cantina, a partire dall’allegro e leggero entry level dei rossi, Il Lupinello da 1 litro (sangiovese, canaiolo e, anche qui, trebbiano), fino all’intenso, lungo e verticale Sangiovese IGT.

Eventi Vino #6 - 2023 - La Rivoluzione a Montespertoli (12 novembre 2023) | assaggi dall'evento dedicato al vino di Montespertoli

Lupinella, che sfoggia le etichette esteticamente più belle dell’interno novero dei presenti, condivide anche la palma di banco più sorprendente della giornata con quello della Fattoria Bonsalto: un progetto, quest’ultimo, partito appena nel 2020 (in passato il vino prodotto era destinato all’autoconsumo o ad altri imbottigliatori della zona) che già esprime una personalità stupefacente in ogni sorso,. Una batteria di cinque vini in degustazione, tutti ricavati da varietà di uva autoctone e tutti capaci di alimentare sorpresa, gioia e desiderio; cito per emblematicità il risultato raggiunto da Primo Marzo, elisir di uva boggione rosso maturato in anfora e che in bocca sviluppa una narrativa succosissima e originale.

Dentro il solco di una tradizione rassicurante per qualità ormai stratificata, stanno i vini della famiglia Gallerini cinque generazioni di viticoltori, che dal 1945 ha trovato stanza nella Tenuta Barbadoro, regno soprattutto del Sangiovese, proposto in diverse interpretazioni. All’iniziatore Serafino è dedicato un Chianti Docg da manuale, trionfante di frutti rossi, ai due fondatori della tenuta sono intitolati rispettivamente il robusto Chianti Montespertoli DOCG II° Guido e, unica concessione all’internazionalità, il denso ed elegante merlot Ottavino, prodotto in tremila bottiglie.

Varrebbe la pena sostare con qualche parola su ognuno di questi produttori di temperamento autentico. Mi limito a ricordare ancora un paio di bottiglie da stappare per testare la versatilità di questi territori: Dolico, l’estivo beverino viogner di Le Fonti a San Giorgio, e il Rosso IGT di Montalbino, praticamente un’antologia in vetro dei vitigni autoctoni, con Fogliatonda e Canaiolo a fare da protagonisti, Sangiovese e Colorino a spalleggiare.

Concludo per brevità ricordando due cantine che a mio parere si aggiudicano un riconoscimento che, in questi tempi di rincari spesso irragionevoli, si distinguono, in controtendenza, con una linea di prodotti di prezzo molto contenuto rispetto alla qualità espressa dalle loro bottiglie, e a noi viene da leggerlo come un gesto di amicizia e fratellanza per noialtri poveri innamorati del buon bicchiere in tavola tutti i giorni a pranzo e a cena, e a volte anche a merenda. Si tratta di Podere Guiducci, coi suoi rossi (come usa d’obbligo ormai dire almeno sette o otto volte al giorno, e io non l’ho ancora fatto) croccanti, e per le Fattorie Parri, dalla cui offerta spiccano il Chianti Montespertoli e, soprattutto, un gran vin santo che in un trionfo di frutta secca lascia spazio a sentori rinfrescanti e balsamici, pericolossimi per chi non si intimidisce di fronte alla possibilità di aprire e finire la bottiglia in pomeriggio; magari accanto a una fragrante crostata casalinga, anch’essa da seccare in un sol boccone, e alla fine leccare le briciole, sgrondando nel calice, felici, le ultime gocce della boccia.

La Rivoluzione a Montespertoli

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Antica Torre, la sala
Mangiare, Ristoranti/Trattorie

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Il Benestare – a tavola con L’Enonauta #1

Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato)

Indoe vien bona la vite, vien bona la vita. I modi di dire toscani nascondono nel loro repertorio una tale quantità di verità da poter essere sicuri di averne uno che va bene per qualsiasi necessità. Questo in particolare si attaglia benissimo al territorio di Carmignano. Vecchia riserva di caccia della famiglia de’ Medici, il territorio del Barco Reale Mediceo è la patria di uno dei vini più antichi (e buoni) d’Italia, denominazione di origine controllata ante litteram, precursore dei super-tuscan 400 anni prima di Giacomo Tachis e Piero Antinori, ma soprattutto è un gioiello di bellezza abbacinante incastonato quasi segretamente, come in uno scrigno collinare, a due passi dalle brutture delle vie di grande scorrimento tra Pistoia, Prato e Firenze.
E un gioiello incastonato quasi segretamente nel borgo di Carmignano è anche l’Enoteca Ristorante Antica Torre. Una calda sala rustica con pavimento in cotto, alcune pareti in mattoni rossi e un grande camino, alleggerita e illuminata da elementi moderni, espositori e tavoli in vetro, senza tovagliato, in cui si è accolti con impagabile garbo e gentilezza dalla famiglia Verni: lo chef Mattia con zia Michelli in cucina, i genitori Daniele e Michela in sala.
Mattia ha aperto il locale ad appena 24 anni nel marzo 2013, dopo il diploma alla Buontalenti di Firenze e un praticantato, evidentemente non troppo lungo, tra pizzerie, agriturismi e ristoranti, tra cui la Locanda dell’Angelo di Sarzana con lo chef Lorenzo Barsotti.
Per diversi anni l’Antica Torre fa quello che tutti si aspetterebbero in questo angolo di colline: pappardelle, bistecca, ribollita… Poi pian piano il carattere di questo giovane creativo, coraggioso e umile, ma giustamente ambizioso, inizia a incrinare il quadro della perfetta real tuscan experience da cartolina: lo chef si guarda intorno e inizia a divertirsi. Si comincia a inserire un’entrée, si sperimentano diversi tipi di pane e grissini fatti in casa, si inventa un pre-dessert… e insomma Verni ci prende gusto e a un certo punto decide di ribaltare tutto. Un’inversione a 180 gradi di quelle per cui serve davvero tanto coraggio. La virata è netta. Addio menu bistecca, addio ai vecchi clienti, si va verso la cucina cosiddetta creativa. Resta l’atmosfera accogliente, per cui si entra e ci si sente a casa, resta la passione per la materia prima, ma a guardar bene qualche segno avverte subito che la campagna toscana qui mostra di sé un’anima meno stereotipata. Dal camino calano reti da pescatore e materiale illustrativo di un produttore di vino affinato sott’acqua in Val Camonica. La carta è un florilegio di sorprese. Piatti spiazzanti e ambiziosi, poggiati su una rara capacità di orchestrare affinità e contrasti. Si indovina anche l’intenzione che c’è dietro: divertirsi, stupire, sedurre, offrire un’esperienza fuori dal consueto.
Il primo degli amuse-bouche della casa è già una dichiarazione di poetica, per un ristorante circondato da colline di viti e olivi: una falsa oliva di robiola glassata, con un pistacchio come nocciolo, su polvere di oliva disidratata e con una fialetta di olio per condire a piacere. Un divertito omaggio alle radici, una freccia scagliata verso l’altrove.

Tre amuse-bouche
Tre amuse-bouche
Foglia alla cipolla e burro
Il Benestare - a tavola con L'Enonauta #1 | Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato) | Luogo dalla doppia Anima moderno-classica
Foglia alla cipolla e burro

In generale questa doppia anima polarizza la carta nel suo insieme (carne e pesce se la giocano con pari dignità) e i singoli piatti, costruiti su dinamiche non scontate. Per limitarci alle cose che abbiamo provato: la capasanta nel latte di cocco e succo di melograno, ravvivata dal pepe rosa; la calamarata con purea di fave e bottarga che scopre un’entusiasmante verticalità nell’incontro con l’aringa; un vero capolavoro di perizia tecnica la terrina di fegatini con lardo marmorizzato, e il vin santo sferificato a mo’ di caviale a donare una spezzatura più fresca alla sapidità avvolgente del piatto.

Capasanta, latte di cocco e melagrana
Capasanta, latte di cocco e melagrana
Calamarata fave, bottarga e aringa
Calamarata fave, bottarga e aringa
Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo
Fegatini, lardo marmorizzato e caviale al vin santo

Più nella norma l’abbinamento dei pici al cervo con i frutti di bosco cotti nel vino o il galletto in due diverse cotture con un’insalatina di finocchi e arance; comunque riuscitissimi entrambi, di una bontà e un calore confortanti, soprattutto il galletto che prima della frittura attraversa una lunga attesa di 12 ore di cottura a bassa temperatura, cosicché lo scrigno di una panatura ricca e saporita custodisce un tesoro di succosa tenerezza.

PIci al cervo e frutti di bosco cotti nel vino
Pici al cervo e frutti di bosco cotti nel vino
Galletto in doppia cottura
Il Benestare - a tavola con L'Enonauta #1 | Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato) | Luogo dalla doppia Anima moderno-classica
Galletto in doppia cottura

Pirotecnici i dolci, in cui si esalta la voglia di stupire, e di lasciare un ricordo peculiare anche agli occhi: bellissimi l’alveare di panna cotta al rhum (con tanto di api svolazzanti) e la scoppiettante bavarese al cioccolato bianco con frutti di bosco immersa in una nebbia di menta che si alza dal piatto fino a profumare l’intero locale.

Alveare di panna cotta al rhum
Alveare di panna cotta al rhum
Bavarese nella nebbia
Bavarese nella nebbia – Il Benestare – a tavola con L’Enonauta #1 | Enoteca Ristorante Antica Torre, a Carmignano (Prato) | Luogo dalla doppia Anima moderno-classica

Carta dei vini non ricchissima ma con bottiglie di varia qualità e un doveroso occhio di riguardo verso le produzioni del territorio. A mescita si offre la scelta fra tre bianchi, tre rossi, tre rosati e tre champagne, insomma quanto è necessario.
Il conto, va detto, è un poco alto (per tre portate e un paio di calici di vino si sta sugli 80 euro; c’è la possibilità di menu degustazione con 5 portate e 2 calici di vino a 85 euro per la carne e 95 per il pesce) ma l’esperienza non è comune. L’insieme dell’accoglienza, dell’atmosfera, della proposta culinaria trasmettono quel senso complessivo dello star bene, anzi molto bene, che è il primo motivo che ci spinge a desiderare di tornare in un posto, per riunirsi a quel pezzetto di nostalgia che ogni volta lasciamo nelle sue stanze. E se cucine buone ce ne sono molte, luoghi come l’Antica Torre invece sono decisamente più rari, soprattutto nella sempre più artefatta Toscana, e quindi preziosi.

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