Per raccontare questo vino mi avventuro volentieri nella lingua fino a definirlo il miglior 2015 delle Langhe provato fino ad oggi. Un Azzardo apparentemente, ma per chi ce l’ha nel bicchiere nemmeno tanto. È un vino che sfiora la perfezione espressiva/stilistica in assoluta fedeltà alla tipologia.
Barbaresco classicista, autodefinizione del proprio stile espressa a voce da Teobaldo Rivella a chi scrive. Lunghe macerazioni, lunghi affinamenti in botti grandi con le uve dal cru Montestefano. Ma qui a mio avviso c’è stato qualcosa, c’è stata la mano magistrale e lungimirante che decide di fare, o non fare, qualcosa e che ci ha restituito una interpretazione mirabile di vitigno e annata congiuntamente.
Vino luminoso, dall’ampio bouquet con reminiscenze di rose e melograni, farina di carrube e spezie e più accenati ricordi di genziana ed altre erbe aromatiche, note di anice e balsamiche. Precisione e incisività.
Il sorso è lineare, contraddistinto da una tensione gustativa continua, acidità netta e tannino grintoso senza eccessi, un ritorno di frutto freschissimo che conquista e ammalia, vitalità, struttura, equilibrio, un finale rinfrescante e arioso come pochi.
Vino da Hall of Fame
Barbaresco Montestefano 2015 – Rivella Serafino
To describe this wine I willingly venture into the language to define it as the best 2015 from the Langhe I have tried to date. A gamble apparently, but for those who have it in their glass not even so much. It is a wine that borders on expressive/stylistic perfection in absolute fidelity to the typology.
Barbaresco classicist, self-definition of his style expressed verbally by Teobaldo Rivella to the writer. Long macerations, long refinements in large barrels with grapes from the Montestefano cru. But in my opinion there was something here, there was the masterly and far-sighted hand that decides to do, or not do, something and which gave us an admirable interpretation of grape variety and vintage together.
Bright wine, with a large bouquet with reminiscences of roses and pomegranates, carob flour and spices and more pronounced memories of gentian and other aromatic herbs, aniseed and balsamic notes. Precision and incisiveness.
The sip is linear, characterized by a continuous gustatory tension, clear acidity and gritty tannin without excess, a return of very fresh fruit that conquers and enchants, vitality, structure, balance, a refreshing and airy finish like few others.
Barolo 2018 – 2 a confronto | Chiara Boschis/Enrico Rivetto
Capita di stappare in un intervallo di tempo breve due vini che condividono annata e tipologia e viene automatico fare un confronto.
Si trattava del Barolo Mosconi 2018 di E. PIRA & FIGLI | CHIARA BOSCHIS (mga Monforte d’Alba) e del Barolo di Serralunga d’Alba 2018 dell’azienda Rivetto.
Entrambi i vini presentano un tono di colore molto chiaro, per il Barolo Rivetto chiarissimo traslucido.
Uve provenienti dalle vigne di Serra, Manocino e San Bernardo. 25 giorni di macerazione, attitudine biodinamica, 30 mesi in grandi botti di rovere.
Vino di straordinaria chiarezza e luminosità. Precisamente e nettamente rosa e melograno in primo piano, completano il quadro sentori mentolato/balsamici, di erbe aromatiche, radici, appena accennata la scorza di arancio.
Sorso ben bilanciato e piacevole, lineare nell’andamento, ben sapido e intenso al gusto con acidità fusa e tannini di forza misurata. Non una virgola fuori posto e, come già successo con altri omologhi della stessa annata, già godibilissimo. Direi addirittura pronto.
Due anni in botte piccola più un anno in bottiglia per il Mosconi.
Scorbutico, un po’ lontano dalla finezza assoluta riscontrata in certe bottiglie dell’azienda di Barolo, ultimo il Cannubi 2020 assaggiato a Grandi Langhe 2024 per cui avrei speso tranquillamente un 100/100.
Il Colore è chiaro, non molto espressivo al naso dove dominano le note speziate, eteree e di resina, vagamente vegetali, lasciando i sentori di frutta in secondo piano.
Anche in bocca lascia un po’ perplessi per certe suggestioni ammezzate e per il sorso contratto, chiuso, dove giocano una parte importante i tannini verdi, la fruttuosità immatura.
It happens that in a short space of time you uncork two wines that share a vintage and type and a comparison is automatic.
It was the Barolo Mosconi 2018 by E. PIRA & FIGLI | CHIARA BOSCHIS (mga Monforte d’Alba) and the Barolo di Serralunga d’Alba 2018 from the Rivetto company.
Both wines have a very light color tone, for the Barolo Rivetto very light translucent.
Barolo di Serralunga d’Alba 2018 – Rivet
Grapes from the Serra, Manocino and San Bernardo vineyards. 25 days of maceration, biodynamic attitude, 30 months in large oak barrels.
Wine of extraordinary clarity and brightness. Precisely and clearly rose and pomegranate in the foreground, the picture is completed by menthol/balsamic hints, aromatic herbs, roots, and just a hint of orange peel.
Well-balanced and pleasant on the palate, linear in progression, well-savory and intense on the palate with melted acidity and tannins of measured strength. Not a comma out of place and, as has already happened with other counterparts of the same vintage, already very enjoyable. I would even say ready.
Two years in small barrels plus one year in the bottle for the Mosconi.
Grumpy, a little far from the absolute finesse found in certain bottles of the Barolo company, last is the Cannubi 2020 tasted at Grandi Langhe 2024 for which I would have easily spent a 100/100.
The color is light, not very expressive on the nose where the spicy, ethereal and resinous, vaguely vegetal notes dominate, leaving the hints of fruit in the background.
Even in the mouth it leaves a little perplexed by certain suggestions in the middle and by the contracted, closed sip, where the green tannins and the immature fruitiness play an important part.
Un Brunello d’impianto tradizionale con 36 mesi d’invecchiamento in botte grande dopo 20 giorni di acciaio. Le vigne dell’azienda sono posizionate in quattro diversi punti del territorio di Montalcino e si può affermare che raramente i vini di Pietroso sono risultati deludenti al momento dello stappo e nelle occasioni dedicate alla degustazione.
Questo Brunello 2015 non tradisce le aspettative. Colore bello, intenso rubino, esplosivo al naso e fortemente fruttato con sentori di marasca e mandarino, a tratti si percepiscono sentori di pesca tabacchiera. Meno diffuse note balsamiche, spezie assortite, lavanda, sottobosco.
L’attacco è impattante, voluminoso e caldo. Il bello però viene dopo, quando al punto massimo di questa invasione il vino innesca un’accelerazione vertiginosa guidata da una acidità cospicua e diretta. La forza di gusto è ragguardevole, in coerenza col naso. Tannini energici, di forma regolare. Il finale è aperto, lungo, evocativo.
Vino muscolare e robusto che riesce a non sconfinare nel troppo, nel troppo denso e nel troppo caldo. Interpretazione dell’annata 2015 Ilcinese decisamente più centrata di altre già assaggiate in passato che sembravano aver smarrito un po’ di forza vitale.
A mio parere, stando a quanto suggerito da questa specifica bottiglia, l’apertura non è da rimandare di tanto perché è adesso che tutta questa forza di gusto e questa energia bilanciano adeguatamente l’alcool.
Brunello di Montalcino 2015 – Pietroso
A traditional Brunello with 36 months of aging in large barrels after 20 days in steel. The company’s vineyards are located in four different points of the Montalcino area and it can be said that Pietroso’s wines have rarely been disappointing at the moment of uncorking and on occasions dedicated to tasting. This Brunello 2015 does not disappoint expectations. Beautiful color, intense ruby, explosive on the nose and strongly fruity with hints of morello cherry and mandarin, at times there are hints of snuffbox peach. Less widespread are balsamic notes, assorted spices, lavender, undergrowth. The attack is impactful, voluminous and warm. The beauty, however, comes later, when at the maximum point of this invasion the wine triggers a dizzying acceleration driven by a conspicuous and direct acidity. The strength of taste is remarkable, consistent with the nose. Energetic tannins, regularly shaped. The ending is open, long, evocative. A muscular and robust wine that manages not to go too far, too dense and too hot. Interpretation of the 2015 Ilcinese vintage that is decidedly more centered than others already tasted in the past which seemed to have lost a bit of vital force. In my opinion, according to what this specific bottle suggests, the opening should not be postponed for long because it is now that all this strength of taste and this energy adequately balance the alcohol.
Scoperto al Mercato Fivi Piacenza nell’edizione di fine Lockdown quando Dario Orzan ci illustrò stoicamente la vasta gamma dei vini aziendali nonostante fosse ormai reso àfono dai due giorni di grande parlare.
Zal Scur 2016 ci restò subito impresso e nel panorama dei vini orange, o bianchi macerati se si preferisce, la Ribolla Gialla dell’azienda Orzan afferma la sua esistenza in modo perentorio, e a mio avviso a ragione, perché in una giusta comparazione con vini assimilabili per stile e provenienza geografica non sfigura affatto. Anzi.
Ribolla gialla del Collio che fa un lungo percorso prima di arrivare al bevitore. Macerazione sulle bucce per 20 giorni. Due anni di legno, un anno in acciaio e poi 6 mesi in bottiglia.
Un vino orange è un vino orange, ma ci sono vini Orange più bianchi e vini Orange più rossi. Questo mi è parso più rosso. E poi ci sono vini Orange più precisi e altri meno. Questo di più.
Il Colore è quello dell’ambra lucida. Ricorda ampiamente e intensamente le drupe come l’albicocca e la nespola, il cedro, la polvere di caffè, poi un filo di cardamomo/spezie e sentori di sfalcio secco in un quadro di generale (piacevole e apprezzabile) compostezza.
Se al naso fa buona figura, al palato risulta invece coinvolgente. Ben sapido, rugoso, con tannini pepati che ne dirigono l’andamento. Ricco di gusto e materia il centrobocca e poi un finale coerente frutto/spezie. Vino da abbinamenti fantasiosi o classici senza timore.
Discovered at the Fivi Piacenza Market in the end-of-Lockdown edition when Dario Orzan stoically showed us the vast range of company wines despite having been rendered speechless by two days of great talk.
Zal Scur 2016 immediately made an impression on us and in the panorama of orange wines, or macerated white wines if you prefer, the Ribolla Gialla from the Orzan company asserts its existence in a peremptory way, and in my opinion rightly so, because in a fair comparison with similar wines in terms of style and geographical origin it doesn’t look out of place at all. On the contrary.
Ribolla giallo del Collio which travels a long way before reaching the drinker. Maceration on the skins for 20 days. Two years in wood, one year in steel and then 6 months in bottle.
An orange wine is an orange wine, but there are whiter Orange wines and redder Orange wines. This one seemed redder to me. And then there are more precise Orange wines and others less so. This more.
The color is that of shiny amber. It is broadly and intensely reminiscent of drupes such as apricot and medlar, cedar, coffee powder, then a thread of cardamom/spices and hints of dry mowing in a framework of general (pleasant and appreciable) composure.
If it makes a good impression on the nose, it is engaging on the palate. Very tasty, wrinkled, with peppery tannins that direct its progress. Rich in flavor and substance in the mid-mouth and then a coherent fruit/spices finish. Wine for imaginative or classic pairings without fear.
L’America era allora per me provincia dolce, mondo di pace Perduto paradiso, malinconia sottile, nevrosi lenta. [Amerigo, Francesco Guccini]
Ah, Amerigo, Amerigo! Basta il suono della parola e a noi rabdomanti del benestare il cuore si illanguidisce e la bocca si inumidisce. Perché da anni, ormai sono quasi una decina, non passano sei mesi (o se passano lo fanno con grande malinconia) senza che si salga sulle nostre auto, si imbocchi da Pistoia la SS64, strada dei cantieri perenni, per superare l’ombrosa Porretta, lasciarsi alle spalle la statale all’incirca all’altezza di Vergato, inerpicarsi sui tornanti della bassa Valsamoggia su su verso Rodiano e oltre, fino a veleggiare sul crinale e poi scendere in picchiata verso Savigno con gli occhi già sprizzanti di felicità e l’addome che si prepara ad accogliere l’emozione, come un palcoscenico in attesa dell’apertura del sipario.
Il banco della sala principale
Se c’è un luogo che è il metro di ogni esperienza gastronomica, un luogo a cui ho pensato quando ho deciso di intitolare questa rubrica Il Benestare, quel luogo è Amerigo. Anzi Amerigo 1934, ché ormai son novant’anni da che si deve ad Amerigo Vespucci e alla moglie Agnese l’apertura di questo luogo incantato, all’epoca più snella mescita di vini con spaccio di altri prodotti e qualche pietanza da mettere sotto i denti, destinato a farsi tempio del sentimento dell’ospitalità, sin da quando in uno dei due locali del primo piano gli abitanti della frazione si riunivano di fronte alla prima sala tv del paese.
Tre grandi classici: calzagatti, tigelle con gelato al parmigiano e battuta di bianca modenese con tartufo marzuolo
Novant’anni fa non c’eravamo ma sembra di respirare quello spirito antico nel modo in cui dal 1988 la trattoria (e adesso anche locanda) è stata trasformata e condotta dal nipote Alberto, che si trasforma anch’egli da aspirante architetto e globetrotter per una ditta di abbigliamento in magnifico patron nella nuova vita della trattoria. Riecheggiano qui, certo, quelle parole della canzone di Guccini intitolata proprio Amerigo, «Provincia dolce, mondo di pace, paradiso perduto», ma senza malinconia. Anzi. Perché se è pur vero che gli ambienti vogliono ribadire le proprie radici, lo fanno raccontando una propria storia sempre in evoluzione, dalle propaggini del liberty fino al passaggio di Gino Pellegrini, già scenografo per Disney, Hitchcock e Kubrick, che nel bolognese si stabilitì al rientro dagli Usa negli anni Settanta e a Savigno passò gli ultimi anni di vita; a lui si devono gli affreschi della seconda saletta del primo piano. Non è dunque semplicemente una scelta di design a esprimersi negli allestimenti ma la storia stessa, lo spirito del luogo, che è fatto dagli uomini e dalle donne che lo hanno animato e attraversato e lo vivono tutt’oggi, e che infatti di quegli uomini e donne esprime la temperatura umana, già dall’entrata, che può variare in base alle esigenze e alla stagione: talvolta direttamente nella sala principale, talvolta dalla bottega (riacquistata sul finire del secolo) in cui si possono trovare in vendita sughi e conserve del laboratorio gastronomico, ultimamente anche da una porticciola laterale adiacente alle cucine, quasi a ribadire il legame con le persone che sono il motore dell’officina dello star bene di cui godremo poco dopo.
Testina di maiale in cotoletta
Sta in questa fedeltà non marmorizzata, credo, il segreto di questo posto. In un modo di vivere il presente senza disperdere il tesoro del passato ma senza nemmeno esserne prigionieri. Lo stesso vale per la cucina, guidata da Giacomo Orlandi. E se non possiamo che concordare con la Guida Michelin, che da 25 anni ormai riconosce una meritatissima stella ad Amerigo, non possiamo farlo quando parla di nostalgico viaggio nel passato della regione. Ma quale nostalgia? Ma quale viaggio nel passato? Il menu è una meraviglia di equilibrio tra la valorizzazione della tradizione e la sfida al presente, che si esprime anche in nuove interpretazioni delle ricette e nella ricerca continua di nuovi fornitori e prodotti di qualità dai colli circostanti (vengono ancora i brividi a ricordare un prosciutto di mora romagnola stagionato oltre 50 mesi degustato ormai qualche anno fa… forse di Zivieri? O di Ca’ Lumaco?).
Tortelli ripieni di parmigiano con prosciutto di mora cotto al forno
Ecco, più che al tempo, più che al passato, la fedeltà è al luogo, al territorio e a quanto di buono può offrire, nel momento in cui lo offre. E allora vai coi funghi rigorosamente di stagione (nell’ultima nostra visita tanti i piatti con le spugnole), le erbe spontanee, gli ortaggi biologici coltivati a chilometro zero e le carni locali: cervo, capretto, coniglio, cacciagione del giorno, ma anche tagli e salumi di mora romagnola e soprattutto la valorizzazione della bianca modenese, vacca autoctona a rischio estinzione, addirittura esaltata in una battuta al coltello realizzata con il diaframma dell’animale. Non può mancare naturalmente una sfoglia magistrale (arte tramandata Giuliana e Marisa, mamma e zia di Alberto, alle nuove sfogline), coi tortellini in brodo tra i più buoni che si possa aver la fortuna di mangiare e il piatto che per me è proprio l’apice del godimento gastronomico, i Tortelli ripieni di parmigiano con prosciutto di mora cotto nel forno a legna, un concentrato di libidini per tutti sensi: dal gusto (ovviamente!) alla vista, all’olfatto, alla carezzevole consistenza; manca solo l’udito ma ad averne davanti un piatto nel silenzio della notte, avvicinandosi per ascoltarli, sono sicuro che li udiremmo parlare e raccontare storie su storie. Come fa tutto il menu, che testimonia anche nella struttura il già descritto sentimento del tempo non come nostalgia ma come storia in evoluzione, indicando su ogni pietanza la data nella quale è stata proposta la prima volta. Si può svariare quindi dai “grandi classici” senza data come le tagliatelle o i tortellini fino ai più recenti Doppia sfoglia lorda con le spugnole e Controfiletto di bovino locale grigliato, cardi al latte, spugnole e tartufo nero pregiato (2023), passando per i piatti per così dire iconici del locale, come le Tigelle con gelato di parmigiano all’aceto balsamico tradizionale affinato, del 2001, la Giardiniera di verdure, lingua, guancia, cotechino e salvia (2016), la Guancia di vitella brasata al barbera con purè e piccolo fritto di cipolla rossa (1997), il Capocollo di maiale brado di razza mora arrosto, fegatino all’alloro, broccolo fiolaro e mela senapata (2003), giusto per dire alcune delle cose meravigliose provate negli anni e trovate con piacere in offerta anche nella nostra ultima visita, ché i piatti di Amerigo, come certi amori, fanno dei giri immensi e poi ritornano.
Tre carni: capocollo, capretto e cervo
Gli stessi sentimenti animano anche la carta dei vini, o meglio le carte dei vini. Una più consueta, nazionale e internazionale, di qualità, come ci si può attendere in una trattoria di tale alto livello, e una che è una vera e propria bibbia sentimentale della viticoltura locale, con oltre cento referenze di vini dei colli bolognesi pronti a esprimere la personalità del luogo e, va detto, a stupire e sventare tanti pregiudizi. Ma in quanto al bere mi piace sottolineare anche la non comune buona accoglienza di Alberto agli ospiti che si portano le proprie bottiglie speciali, custodite magari a lungo nelle proprie cantine in attesa di un’occasione particolare, o semplicemente di poterle condividere in amicizia (anche con l’oste) in accoppiamento con una cucina all’altezza.
Trattoria da Amerigo a Savigno – Cremoso al cioccolato, zabajone e cialde croccanti
Infine, a dimostrazione di una vera vocazione all’ospitalità, va detto che resistono nella carta due menu degustazione, uno prettamente stagionale e un altro di presentazione dei piatti forti della storia del ristorante, ad un rapporto qualità/prezzo (il menu classico attualmente è a 50 euro da antipasto a dolce) che è un vero abbraccio della trattoria a tutti gli enonauti e gastronauti che vogliano oltrepassarne la soglia.
Lo sapete anche voi, non capita spesso di uscire da un pranzo “fuori” addirittura con un senso di graditudine. Magicamente è quello che succede qui, e la magia si ripete ogni volta. Tanto che lungo i tornanti del rientro, tra gli entusiasmi e la felicità e la sazietà, sorge anche immancabilmente lo stesso interrogativo: «Ragazzi, quando ci si torna?»
Carema 2016 – Cantina Produttori Nebbiolo di Carema
A Parigi dal 1875 esiste il Bureau international des poids et mesures.
Al suo interno è conservato, insieme alle altre 6 grandezze fondamentali, la barra di platino-iridio che riproduce il Metro.
Ecco. Questa Espressione cristallina del Nebbiolo della Cantina dei Produttori Nebbiolo di Carema si potrebbe utilizzare come una sorta di metro di misura, una sorta di Nebbiolo archetipico, e si potrebbe depositare l’esperienza percettiva prodotta da questo vino in un immaginario e apposito Boureau mentale ispirato a quello di Parigi. Il Metro del Nebbiolo.
Questo a prescindere dal fatto che ne potresti preferire un altro.
Nebbiolo con 12 giorni di macerazione e 24 mesi (almeno 12 in legno) di invecchiamento.
Il Colore è granato di luminosità e brillantezza assolute. La finezza delle fragranze fa il pari con la leggiadria del sorso. E la leggiadria del sorso è direttamente proporzionale alla sua intensità gustativa.
Lampone in principio, più melograno con l’arieggiamento. Rose, misurata speziatura, un tocco di scorza d’arancia e di erbe aromatiche.
Vino secco e decisamente fresco, con tannini di grana fina e alcool dosato magistralmente. Ciò che lo rende irresistibile è la qualità e la durata del ritorno del frutto che si potrebbe definire delizioso Questo lo rende un vino dalla bevuta equilibrata e piacevole. Pronto adesso, ma senza ansie si potrebbe conservare in cantina.
Non si finisce mai di rinnovare la propria stima per Cantina di Carema.
Carema 2016 – Cantina Produttori Nebbiolo di Carema
The Bureau international des poids et mesures has existed in Paris since 1875.
Inside it, together with the other 6 fundamental quantities, the platinum-iridium bar that reproduces the Meter is preserved.
Here you are. This crystalline expression of Nebbiolo from the Nebbiolo Producers Cellar of Carema could be used as a sort of measuring stick, a sort of archetypal Nebbiolo, and the perceptive experience produced by this wine could be deposited in an imaginary and specific mental Boureau inspired by that of Paris. The Nebbiolo Metro.
This is regardless of the fact that you might prefer another.
Nebbiolo with 12 days of maceration and 24 months (at least 12 in wood) of aging.
The color is garnet with absolute brightness and brilliance. The finesse of the fragrances is matched by the gracefulness of the sip. And the gracefulness of the sip is directly proportional to its gustatory intensity.
Raspberry at first, more pomegranate as it aerates. Rose, measured spiciness, a touch of orange peel and aromatic herbs.
Dry and decidedly fresh wine, with fine-grained tannins and masterfully dosed alcohol. What makes it irresistible is the quality and duration of the return of the fruit which could be defined as delicious. This makes it a balanced and pleasant drinking wine. Ready now, but without worries it could be stored in the cellar.
You never stop renewing your esteem for Cantina di Carema.
Nell’ottobre 2023 ho avuto l’occasione e il privilegio di poter essere accolto, insieme ad alcuni amici, da Elio Sandri nella sua azienda Cascina Disa sulla sponda orientale della collina di Perno a Monforte d’Alba.
Serralunga vista dal cortile di Cascina Disa
Elio Sandri
Elio Sandri
Elio Sandri è un uomo decisamente espansivo che non lèsina il suo tempo e le proprie energie per consentire al visitatore di comprendere il progetto Cascina Disa e nell’entusiasmo con cui si spende traspare quanto per lui sia vitale la comprensione dell’attitudine con cui affronta il mestiere di vignaiolo e che dunque siano chiari il suo impegno fatto di studio, curiosità, sperimentazione, passione, amore per il territorio e per il vitigno sostenuto dalla volontà di portarli al livello massimo di espressività. Non difetta in eloquio e quest’ultimo è sorretto da una conoscenza profonda della materia Vino. Conoscenza fatta di nozioni tecniche, sensibilità, “capacità di ascolto” e un nutrito bagaglio di evidenze empiriche.
LA VISITA – UN’ESPERIENZA PROTEIFORME
Trattato di Enotecnica vergato col gesso sulle botti
Raggiungiamo l’azienda nel pomeriggio inoltrato, appena prima dell’imbrunire e si discorre tranquillamente davanti alla cantina e sopra le vigne fino all’arrivo della Luna dentro il meraviglioso panorama di Serralunga d’Alba con alcuni dei suoi Cru più famosi. Elio Sandri non si risparmia e ci racconta la storia dell’azienda, la sua vocazione, i suoi obiettivi e quanto invece si propone di non fare. Poi si entra in cantina e la visita prende la forma di una grande degustazione, un po’ da bottiglia, un po’ da botte, dei vini dell’azienda che risultano decisamente di carattere, a tratti entusiasmanti. Certamente non si può trascurare in questi frangenti quello che E. Peynaud chiamava “entusiasmo ambientale”, ma conferma delle sensazioni ricevute sul momento c’è una serata con i vini di Elio Sandri organizzata al ritorno che ne sancisce definitivamente la radicale qualità.
Si diceva dunque che la visita diventa una grande degustazione, ma diventa anche un grande corso accelerato di enotecnica, chimica organica e controllo dei processi con l’elargizione di nozioni e conoscenze che non hanno un prezzo. Si va avanti fino alle 9 della sera tra un assaggio e il racconto di una annata, di una intuizione che ha consentito la nascita di una buona bottiglia, tra qualche ricordo di grandi vini bevuti e un trattato del corretto affinamento del vino in relazione all’andamento dell’annata vergato col gesso sulle botti.
ESSERE UN VIGNAIOLO
Dunque Elio Sandri si definisce un Vignaiolo. Un vignaiolo che ha un’idea del vino e della figura del vignaiolo ben delineata, lucida, radicale e senza mancare di sottolinearlo. Nitidezza e sicurezza dimostrate, ad esempio, dalla chiarezza e la persuasività con cui riesce a articolare all’impronta una visita di quasi 5 ore con tre ospiti mai conosciuti prima.
Il Vignaiolo è la chiave di tutto. Una forma di alterità radicale rispetto al generico allevatore di viti. Una figura che ascolta e interpreta, si adatta se necessario e si dà come fine non la ricerca di una perfezione parametrata su risultati standard considerati ripetibili, bensi l’approssimarsi anno dopo anno al miglior risultato possibile nel rispetto e nella consapevolezza della natura di ciò che si va a trasformare. Tenendo sempre davanti come obiettivo l’ottenimento di un vino che ricordi la sua origine e che sia ricco di vita. Mi pare inoltre che gli sia ben chiaro in quale contesto qualitativo voglia collocare i propri vini, in relazione a modelli virtuosi a cui rifarsi. E in questo senso è ampiamente consapevole delle proprie potenzialità, della qualità raggiungibile, e raggiunta pienamente dai suoi vini.
CONCLUSIONI – Elio Sandri
A Cascina Disa si parla di cose di cui raramente si parla durante le visite alle cantine. Si gode, ma al contempo s’impara. Utile e dilettevole. Elio Sandri è un uomo simpatico e generoso che fa grandissimi vini. Purtroppo non si possono acquistare, ma nel computo dell’intera esperienza diventa veramente un dettaglio.
È un vero piacere sorseggiare questo Primitivo di Luca Attanasio da Sava nell’alto Salento, un piacere che si rinnova e stratifica ad ogni sorso. Ed è prova che si possono fare vini dal tenore alcolico importante, concentrati, ma non meramente opulenti.
Questo nello specifico è un Vino sontuoso, tonico, dalla muscolatura allenata. Per quanto non verticale, come sembra debbano essere tutti i vini al giorno d’oggi, ma ben vivo.
Primitivo coltivato ad Alberello, acciaio e 12 mesi in barrique
La colorazione è scura, la densità è manifesta. I profumi sono penetranti e ricordano il frutto scuro come il mirtillo, le spezie, il tabacco, le erbe aromatiche.
Sul palato esercita un bella pressione, sferico, 15.5 gradi alcolici ben supportati dalla sostanza e dal considerevole sviluppo di gusto. A suo modo è fresco, per quanto non sia la sua caratteristica primaria, con acidità distribuita e tannini ben piazzati.
Vino importante, sostanzioso, però mai ingombrante e addirittura molto bevibile seppure nella sua muscolarità. Ovviamente non lo consiglierei mai all’aperitivo, ma lo consiglierei senza dubbio per una bella cena con pietanze di carne elaborate.
Una delle ultime bottiglie riportate dal Mercato Fivi 2023.
Primitivo di Manduria 2019 – Luca Attanasio
It is a real pleasure to sip this Primitivo by Luca Attanasio from Sava in the upper Salento, a pleasure that is renewed and stratified with every sip. And it is proof that it is possible to make wines with a significant alcohol content, concentrated, but not merely opulent.
This specifically is a sumptuous, tonic wine with trained muscles. Although not vertical, as all wines seem to be nowadays, but very much alive.
Primitivo grown in Alberello, steel and 12 months in barrique
The color is dark, the density is evident. The aromas are penetrating and reminiscent of dark fruit such as blueberry, spices, tobacco, aromatic herbs.
On the palate it exerts a nice, spherical pressure, 15.5 degrees of alcohol well supported by the substance and the considerable development of taste. In its own way it is fresh, although this is not its primary characteristic, with distributed acidity and well-placed tannins.
An important, substantial wine, but never cumbersome and even very drinkable despite its muscularity. Obviously I would never recommend it as an aperitif, but I would undoubtedly recommend it for a nice dinner with elaborate meat dishes.
One of the last bottles brought back from the Fivi 2023 Market.
Sull’etichetta è specificato che si tratta di un vino ossidativo e del resto viene dallo Jura che è uno dei luoghi dove la tradizione del vino ossidato non si è mai persa.
Savagnin e Chardonnay in parti uguali. 4 anni di elevazione in legno per entrambi, il Savagnin sous voile, presumo in botte scolma. In blend per 3 mesi e poi in bottiglia.
Oro antico brillante, acquavite di mele inizialmente poi molte spezie, molti fiori, elicriso soprattutto, capperi freschi aperti, frutto tropicale, orzo, fieno, nocciole, con l’arieggiamento emergono altre note fruttate di drupe. Non mancano le fragranze.
In bocca è una lama su cui è appena passata la Cuticola. Sulle prime ci si concentra su quella perché non si può fare altro. Poi cresce e intorno a questa acidità il vino aumenta di forza gustativa e di profondità e non essendo affatto un vino magro il sorso risulta equilibrato e di giusta definizione.
L’apertura gli giova da tutti i punti di vista.
Per gli amanti del genere e per chi si diletta in abbinamenti difficili.
Cotes de Jura Tradition 2015 – Domaine Rolet
On the label it is specified that it is an oxidative wine and after all it comes from the Jura which is one of the places where the tradition of oxidized wine has never been lost.
Savagnin and Chardonnay in equal parts. 4 years of maturation in wood for both, the Savagnin sous voile, I presume in empty barrels. Blended for 3 months and then bottled.
Brilliant ancient gold, apple brandy initially then many spices, many flowers, especially helichrysum, fresh open capers, tropical fruit, barley, hay, hazelnuts, with airing other fruity notes of drupes emerge. There is no shortage of fragrances.
In the mouth is a blade over which the cuticle has just passed. At first we focus on that because there’s nothing else we can do. Then it grows and around this acidity the wine increases in gustatory strength and depth and since it is not a lean wine at all the sip is balanced and with the right definition.
Openness benefits him from all points of view.
For lovers of the genre and for those who enjoy difficult combinations.
Vinipendenti è una manifestazione vinicola che si svolge a Pisa presso la stazione Leopolda ed è incentrata sulla promozione dei vignaioli naturali, qualunque cosa con questo termine ci si prefissi di rappresentare.
La stazione Leopolda è molto accogliente e gli spazi per muoversi sono comodi, ovviamente ci sono orari di maggiore affluenza in cui risulta complesso fermarsi a parlare con i produttori anche perchè il pubblico è variegato e specie nelle giornate di sabato e domenica all’ora dell’aperitivo risulta molto legato alla componente alcolica presente nel vino.
Molto carina l’idea del concerto a fine evento, quest’anno era presente BOBO RONDELLI, incluso nel ticket di ingresso.
Sono andato nella giornata di lunedì, quella che dovrebbe essere limitata agli operatori al costo di 10 euro e molti dei produttori presenti già li conoscevo e mi ero fatto una piccola selezione delle aziende da provare.
Le mie prime due soste sono state alle distribuzioni WINE INDIPENDENT e ROOTS.
I vini in degustazione sono all’insegna del naturale integrale, bassissimi i quantitativi di solforosa se non del tutto assenti. Questo dato viene sventolato prima dell’assaggio, cosa per me inconcepibile, i vini non sempre equilibrati, specie nella componente volatile ma dalle facce dei miei compagni di assaggi devo dire che risultano graditi.
La visita al banco di Lesom, giovanissima azienda della Mosella, ci ha regalato delle ottime espressioni di riesling provenienti da tre parcelle. Altezza diversa, affinamento e sosta sulle fecce variabile portano a tre espressioni diverse di un vitigno da me molto apprezzato.
Cantina Pub Agricolo con sede a Mamoiada ci ha colpiti per la prepotenza del cannonau riserva, pericoloso vista la gradazione, ma soprattutto per Vermentino e Granatza dai profumi intensi e poliedrici.
Etnella e Abbazia San Giorgio sono due tappe obbligate che mi portano a risentire i vini dell’Etna e di Pantelleria, Attia e Joe Pesk su tutti. Due bianchi leggermente macerati pieni di carattere non appiattiti né omologati nel gusto.
Piacevole scoperta Casa Lucciola da Matelica con un Verdicchio macerato veramente intrigante.
Per me tappa obbligatoria resta sempre la Valtellina, oggi rappresentata dall’azienda Agricola Selva Pietro. Vini eleganti e precisi, il Nebbiolo è nobilitato dal passaggio in legno e non sovraccaricato.
All’esterno sono presenti diverse postazioni food che permettono o di accompagnare al vino varie pietanze, dai panini sia in stile toscano puro alle alternative vegetariane.