Sangiovese e in minima parte Canaiolo. Il Chianti Classico di Podere Castellinuzza è autenticamente Lamolese.
Affinamento per 18 mesi in cemento e poi vetro.
Cercando un abbinamento volante col più tradizionale e semplice piatto della cucina Toscana, intesa come quella raccontata dal Petroni, ovvero le Salsicce coi fagioli in umido magistralmente cucinate dal suocero, non si poteva trascurare questo Chianti Classico 2014 di Podere Castellinuzza.
Perché questo vino, con cui fu amore a primo sorso durante una visita alla cantina della famiglia Coccia, figlio di un annata molto disprezzata restituisce invece appieno i caratteri di questo splendido luogo chiamato Lamole.
Ha un tono di colore appena più intenso di un rosato e profuma di giaggiolo, marasca, Lavanda e scorza d’arancio.
È semplice e buono al gusto, ma affatto banale. Poco corpo, ma molto sapore, fresco e setoso, agile, leggero, un tannino carezzevole. Due umani con un po’ di sete finiscono la bottiglia in 15 minuti senza affaticarsi e il pranzo finisce in allegria.
Nebbiolo, Croatina, Vespolina e Uva Rara per il Bramaterra Antoniotti
Vasche di cemento e poi affinamento per 30 mesi in botte grande
La Famiglia Antoniotti è impegnata da generazioni nella produzione di vino, ed è un impegno efficace e importante a giudicare dai risultati. Ho avuto più volte occasione di assaggiare i loro vini fino a decidere di andare a trovare Odilio e Mattia, uomini straordinariamente gentili ed entusiasti, in azienda per capire meglio la natura del loro lavoro e ringraziarli per la felicità che dispensano.
Il Bramaterra degli Antoniotti è Vino del Cuore da quando un oste ispirato me lo consigliò (il 2010) in una piovosissima serata torinese. Questo 2013 se valutato secondo i parametri classici di equilibrio, armonia, persistenza, etc è un vino senza lati deboli. Rosso rubino con lievi sfumature granata. Al naso si presenta con generosità e franchezza. Fragolina di bosco, lampone e ciliegie appena mature, rosa e viola, tra le pieghe degli aromi si intuisce del sottobosco, della spezia dolce, note appena accennate che potremmo rubricare alla voce cuoio/tabacco, ma sono solo un’accenno.
All’assaggio esordisce fresco e con una piacevole vena salina, l’acidità è setosa, piacevole e ben distribuita. Il frutto rosso coerentemente torna quasi in essenza e in bocca il vino è dinamico, agile, mai ingombrante e ha nella piacevolezza della beva, nella schiettezza delle sue caratteristiche e nell’equilibrio, non certo un equilibrio statico, bensì un equilibrio di elementi dinamici, vivi, pulsanti, grandi punti di forza. Piacevole il tannino levigato e ottime la stoffa e la persistenza.
da Radda il Chianti Classico de il Barlettaio 90% Sangiovese e 10% Merlot 18 mesi in Barrique 10 mesi in bottiglia
Rubino profondo, sulle prime al naso è oscuro, con aromi di muschio, cioccolato, sottobosco, cassis. A chi è paziente regala una interessante azione in contropiede del Sangiovese che dopo un’ora circa torna a farsi sentire con note di scorza d’arancio ed ematiche, di fiori secchi e Lavanda.
Andamento similare per la fase gustativa. Inizialmente caldo e felpato, forse un po’ ingombrante, si toglie dall’impaccio sfoderando una buona progressione grazie a una discreta freschezza e a un tannino robusto. Apprezzabile il finale dove si re-incontrano l’agrume e il cacao.
Da appassionato del Sangiovese di Radda in Chianti e da estimatore dei vini di Francesco Bertozzi aggiungo solo che preferisco al Riserva la versione base dove i caratteri legati al territorio sono più evidenti.
Con in vini ci s’incontra talvolta per caso. Questa è una di quelle volte.
Interno supermercato con annessa rivendita di vini separata. Entro per comprare due cose velocemente, ma come ogni volta indulgo ed entro nel Reparto Vini.
Non ho bisogno di niente, ma mi convinco che mi necessita un bianco.
Mi guardo un po’ attorno, scorro le etichette quasi tutte conosciute o direttamente, per sentito dire o per l’internet. Fino a che vedo una bottiglia in posizione anomala, distaccata dalle altre, come se fosse stata dimenticata o spostata. E non ne ho mai sentito parlare. Viene da uno dei territori a me più cari e scoprirò poi dopo che è vicino di casa di uno dei miei produttori preferiti. La prendo.
È il Jakot 2015 di Blazic
si tratta di un Friulano o Tocai o Sauvignonasse.
Due giorni di macerazione, poi acciaio.
Bel giallo paglierino intenso. Buon ventaglio di profumi. Narciso, albicocca, vaghe reminiscenze di spezie come lo zenzero e un grande soffiio di erbe aromatiche.
Sorso denso con freschezza ruvida. Centrobocca succoso, fruttato, spesso.
E buon finale dove si confermano le note erbacee.
Fece buona figura a tavola col Filetto di Rombo all’Acquapazza, che si intravede in una delle foto, con le uova al formaggio e con la spalla toscana.
Didascalisco al naso con sentori evidenti di ciliegia sciroppata, legno di cedro e tabacco dolce.
Quasi abboccato al sorso e poco dinamico, sviluppa molto frutto ma non ha profondità. Stanca un po’, come sentirsi ripetere dieci volte di fila la stessa barzelletta. Specificando che è sempre opinione personale dettata dal gusto personale, limitato, ma legittimo, di chi scrive.
Nello sturare questa bottiglia di Barbera Pochi Filagn, prendendo a prestito un termine caro al Cavalier Accomasso, e nel portare al naso il calice il pensiero non può che tornare al giorno in cui, nel novembre 2016, assaggiai questo vino per la prima volta insieme al Cav. Accomasso. Che nel versarlo nel bicchiere ai presenti (io, il mio amico Simone, due coppie dalla Svezia) definì il Barbera come il “vino della felicità”. Non solo il proprio. Il Barbera in generale. Aggiunse che non c’è di cosa più bella di una bottiglia di Barbera in vigna d’estate insieme al pane col bruss (formaggio coi vermi). Come dicevo eravamo io, il mio amico Simone e due coppie di svedesi venuti apposta da Stoccolma per i vini del Cavaliere e che non capivano bene l’italiano. Una delle signore si calava volenterosamente nella parte dell’interprete e allora le spiegai il discorso sul Barbera, il pane, l’estate, la vigna, la felicità e i vermi, ma non ebbi la sensazione che avesse compreso appieno la portata del racconto del Cavalier Accomasso. Soprattutto sulle parole “cheese with worms” tutti e quattro rimasero interdetti e siccome ebbi la sensazione che avessero voluto credere scherzassi chiosai con un “i’m not joking”.
Ma apprezzarono il Barbera. Alla capo spedizione che sedeva alla sua destra il Cavaliere versò subito un secondo bicchiere pronunciando le seguenti parole “bevi un altro bicchiere che ti fa diventare bella rossa”. Chi conosce il Cavaliere non ha bisogno di ulteriori spiegazioni… Per raccontare questo vino credo sia miglior cosa partire dalla fine; il Pochi Filagn è un vino di rara piacevolezza senza peraltro essere un vino piacione.
Ma torniamo al principio. Al vino che lentamente si muove nel bevante. Al naso si presenta con vigoria. Il colore è vivo, lucente, rubino scuro. Mora, prugna, gladiolo, pepe pungente, Cuoio, lievemente rustico. Profuma di buono, preannuncia una bevuta gustosa e soddisfacente. Inebria. In bocca esordisce caldo, i suoi 15,5 gradi sono dirompenti e c’è molto frutto, molto succo, acidità sferzante e a colpire sono la forza, l’intensità e la persistenza dell’aroma di bocca. Un lungo reverbero di frutti nel finale.
La forza di questa bottiglia non sono la complessità e la ricercatezza. La forza di questo vino è propriamente la sua forza. La sua forza dirompente e la sua energia inarginabile. Esperienza fisica e di gusto intensa.
Insieme alla Pasta al Forno si accompagnò magnificamente.
il Barbaresco Autinbej di Ca’ del Baio di Treiso passa due anni in botti grandi ed è un Vino di stampo tradizionale
Seppure la luce artificiale di ieri sera non gli rendesse assolutamente giustizia il Barbaresco Autinbej 2015 di Ca del Baio si è accompagnato mirabilmente con le fettine di fegato spadellate nel burro con sfoglia di parmigiano. Eccellente Barbaresco base che non sfigura al cospetto degli altri, più pregiati, cru aziendali.
Trasparente e vivo color rubino. Profumi nitidi, filologici e intensi di Rosa, Lampone in essenza, genziana, erbe officinali, Cuoio. In bocca è teso e caldo. Acidità e tannini senza compromessi. Di corpo asciutto, dotato di una vigoria ragguardevole e di grande finezza. Colpisce l’intensità dell’aroma di bocca che in totale corrispondenza con le sensazioni olfattive ripresenta piccoli frutti rossi ed erbe officinali. Grande piacevolezza di beva e credo, per quanto possa valere dal momento che tutto dipende anche dalle capacità e dalla sete di chi beve, sia la bottiglia durata meno nel 2019.
Giovane, ma già godibilissimo, e con buone prospettive per gli anni a venire.
Ebbi la ventura di assaggiare questo Costa di Giulia 2015 appena imbottigliato perché giunsi casualmente in azienda un pomeriggio in cui si stavano ultimando le operazioni di imbottigliamento. Ne ho seguito con piacere dunque, in questi pochi anni, l’evoluzione del gusto e credo di poter affermare che Costa di Giulia di Michele Satta è un vino che sviluppa personalità col tempo, che si conferma negli anni e che questa 2015 ha comunque una energia fuori del comune.
Vermentino e Sauvignon Lunga Fermentazione e affinamento sulle proprie fecce in acciaio.
Giallo paglierino intenso. Brillante e profumato. Esprime sulle prime note fruttate, di pesca bianca che si alternano a egualmente evidenti sentori vegetali, erbe aromatiche come il timo e l’erba appena tagliata, floreali, di miele e vaniglia. In bocca acidità soffice, dolce e duratura, ben equilibrata dal corpo e dalla succosità del sorso che risulta vellutato. Lo si potrebbe definire un vino suadente e finanche opulento che pur tuttavia non è stancante, come un oratore che oltre alla perizia abbia argomenti interessanti di cui si vorrebbe dibattere, per amore del discorso, all’infinito. Il finale è estremamente lungo con ritorno di frutta matura e miele di cardo. Allunga in progressione, senza scatti brucianti o velleitari.
Non stanca sul momento e negli anni dimostrando una disposizione alla maturazione già testata con altre annate. Motivo per cui si ritorna sempre a Castagneto, tra le colline e i cipressi cari al Carducci, da che cura il ricevimento e le degustazioni, a comprare il Costa di Giulia e gli altri vini che Michele Satta produce con esito qualitativo costante e sempre a prezzi terrestri.
Giovano a questo vino, a mio avviso, un paio di anni in bottiglia almeno e una temperatura di servizio un paio di gradi più alta di quanto solitamente si usa per i vini bianchi.
Ottimo in abbinamento col polpettone di fagiolini, ma azzarderei perfetto con lo spaghetto con patate lesse, olio evo e basilico fresco.
Eichorn di Manincor è un vino da uve Pinot Bianco coltivate seguendo i princìpi dell’agricoltura biodinamica. Breve macerazione, fermentazione spontanea, quattro mesi di affinamento in rovere a contatto coi lieviti.
Brillante giallo chiarissimo. Mostra nel bicchiere una certa densità. Profilo olfattivo composito e pulito. L’impatto di un prato primaverile in pieno sole. Frutta e fiori bianchi. Pera Abate, glicine, afflato calcareo/petroso, erbe aromatiche, nepitella, crema di limoni.
In bocca domina la vena fresca/sapida che s’innerva nella materia fruttata così che il sorso finisce per essere energico e al contempo equilibrato, avvolgente e persistente Ha accompagnato valorosamente, e dimostrando una poliedrica attitudine alla tavola imbandita, un menù di cinque portate di pesce in un famoso ristorante della costa toscana.
Buon rapporto qualità prezzo.
Per chi scrive è una conferma della maestria indiscutibile dell’azienda Manincor nel produrre vini espressivi, di carattere e di grande qualità.
Il Syrah di Michele Satta nasce a Castagneto Carducci Syrah in purezza Raccolta a completa maturazione Fermentazione spontanea in tino con follature manuali Affinamento per 18 mesi in barrique per un terzo nuove
Ho avuto la fortuna di poter visitare l’azienda di Michele Satta molte volte e dunque a casa mia giacciono, in attesa di essere stappate, svariate bottiglie di diverse annate. Può capitare, come in questo caso, che due bottiglie dello stesso vino, ma di due annate diverse, vengano aperte in un tempo abbastanza breve da poter fare un raffronto a memoria senza consultare ipotetici appunti di degustazione.
Per la gioia del palato questo Syrah di Michele Satta conferma tutte le buone sensazioni ricevute dal 2010, ma rivelando una personalità ben diversa. E abbiamo così la confortante conferma di trovarci davanti a vini non banali e non seriali che ci raccontano la mano che li fece e la stagione che contribuì a formare il loro carattere.
Ha il colore dell’amarena matura, fitto, praticamente impenetrabile. Al naso porge un bel ventaglio di sentori che spaziano dal frutto nero maturo alla foglia di mirto, dalla spezia dolce al tabacco, a tratti fanno capolino le scorzette d’arancio ricoperte e una leggerissima note boisee. Lo si potrebbe definire complesso e fine.
Rispetto al suo predecessore del 2010 che, dotato di più corpo e concentrazione, sviluppava in senso orizzontale – a delta, per un’esperienza gustativa più muscolare, qui siamo al cospetto di un vino più snello, a tratti sapido, dal gusto più definito, caratterizzato da succo più fresco e, a mio parere del momento, più equilibrato e godibile. Tannino ben inserito e buon finale dove spiccano le note aromatiche.