Per la rubrica “sotto i dieci euri” che inauguro in questo momento voglio raccontare questo/a barbera riportato dal Mercato Fivi di Bologna. Barbera d’Asti “sopra berruti” 2012 de L’Armangia. Pagato 8 euro. Come i suoi fratelli maggiori Nizza Titon e Nizza Riserva Vignali è dimostrazione pratica della vocazione del territorio d’origine, delle potenzialità del vitigno e del fatto che alla famiglia Giovine vengono bene tutti i vini. Rossi, bianchi, mossi, fermi, etc, e per averne contezza consiglio all’enopellegrino che si trovasse davanti a un loro banco d’assaggio di fare uno stop. Barbera tradizionale fatta in acciaio e tini di rovere. Vino dal colore scuro, vivo, porta reminiscenze di frutti scuri, spezie, garofano, balsamiche. Al palato è un vino decisamente piacevole, anche divertente se il termine è accettabile, molto compatto, espansivo, con anima sapida e fresco, senza sbavature e senza eccessi alcolici. In finale si riverberano a lungo le note di frutto e di spezie. È sicuramente un “arrivederci”…
For the “under ten euros” column that I am launching at this moment, I want to talk about this barbera brought back from the Fivi Market in Bologna.
Barbera d’Asti “sopra berruti” 2012 by L’Armangia
Paid 8 euros. Like its older brothers Nizza Titon and Nizza Riserva Vignali it is a practical demonstration of the vocation of the territory of origin, of the potential of the vine and of the fact that all wines are good for the Giovine family. Reds, whites, moved, still, etc, and to be aware of this I advise any wine pilgrim who finds himself in front of one of their tasting stands to stop. Traditional Barbera made in steel and oak vats. Dark colored wine, lively, brings reminiscences of dark fruits, spices, cloves, balsamic. On the palate it is a decidedly pleasant wine, even fun if the term is acceptable, very compact, expansive, with a savory and fresh soul, without smudging and without alcoholic excesses. In the finish, the notes of fruit and spices reverberate for a long time. It’s definitely a “goodbye”…
La Marginale 2010 Saumur Champigny – Thierry Germain/Domaine des Roches Neuves
Le precedenti esperienze con la cantina di Thierry Germain avevano ingenerato delle aspettative. Che non sono andate deluse. Cabernet Franc & Loira (Saumur Champigny).
Cabernet Franc con lunga macerazione ed elevamento in barrique
Vino agile, setoso, profumato.
Chiaro, reminiscenze ben articolate di lamponi e fico d’india, mentolate, escono col tempo note di erbe officinali e di pepe sichuan.
Sorso delicato, fresco, piacevole e spiccatamente salino (che trovo essere una costante dei vini di Thierry Germain), equilibrio compiuto, il vino è risolto e ha tannini quasi in filigrana e un finale frutto/spezie piuttosto prolungato. Nel caso specifico di questa bottiglia un paio d’anni di anticipo avrebbero reso l’esperienza perfetta
Cabernet Franc e Loira si confermano una delle mie accoppiate preferite. A tavola ottimamente con Risotto al Colombaccio e Pluma di Maiale Iberico con insalata di finocchi e arance e patatas bravas.
La Marginale 2010 Saumur Champigny – Thierry Germain/Domaine des Roches Neuves
Previous experiences with Thierry Germain’s cellar had raised expectations. Which didn’t disappoint. Cabernet Franc & Loire (Saumur Champigny).
Cabernet Franc with long maceration and aging in barrique
Agile, silky, fragrant wine.
Clear, well-articulated reminiscences of raspberries and prickly pear, minty, over time notes of medicinal herbs and Sichuan pepper emerge.
Delicate, fresh, pleasant and distinctly saline on the palate (which I find to be a constant in Thierry Germain’s wines), well-balanced, the wine is resolved and has almost filigree tannins and a rather prolonged fruit/spice finish. In the specific case of this bottle, a couple of years in advance would have made the experience perfect
Cabernet Franc and Loire confirm to be one of my favorite pairings. Excellent at the table with Risotto with Colombaccio and Iberian Pork Pluma with fennel and orange salad and patatas bravas.
Un vino che mi piace dal principio, dalla sua sobria etichetta che mi parla della rigorosa precisione che effettivamente poi trovo nel bicchiere. Al terzo giorno di apertura continua a stupirmi con la sua scintillante veste chiaro-traslucida e il suo incisivo ed onesto bouquet che potrei riassumere in 4 parole: viola, ciliegia, cannella e rabarbaro. Non il più complesso dei vini, ma colpisce l’accuratezza dei rimandi.
Dopo tre giorni mi aspetta con la sua delicata ed emozionante fruttosità che lo apparenta a vini ben più famosi. Sorso definito e sempre tonico, equlibrato, con tannini che mostrano forza senza spigoli. Finale piacevolmente dolce/amaro.
Può fare da ottimo jolly in fase di abbinamento in tavola. Consiglio a chi lo volesse stappare di tentare qualcosa di insolito.
Tra i 10 euri meglio spesi, spesi e rispesi peraltro, in vino.
Enonauta/Degustazione di Vino #384 – review – Grignolino del Monferrato Casalese 2021 – Oreste Buzio | Tra i 10 euri meglio spesi in vino
Grignolino del Monferrato Casalese 2021 – Oreste Buzio
A wine that I like from the beginning, from its sober label which tells me about the rigorous precision that I actually find in the glass. On the third day of opening it continues to amaze me with its sparkling light-translucent appearance and its incisive and honest bouquet which I could summarize in 4 words: violet, cherry, cinnamon and rhubarb. Not the most complex of wines, but the accuracy of the references is striking.
After three days it awaits me with its delicate and exciting fruitiness that compares it to much more famous wines. Defined and always tonic, balanced on the palate, with tannins that show strength without sharp edges. Pleasantly sweet/bitter finish.
It can act as an excellent joker when pairing at the table. I advise anyone who wants to uncork it to try something unusual.
Among the 10 euros best spent, spent and respent, on wine.
Non è una provocazione, tantomeno una descrizione con intento denigratorio, bensì un tentativo sincero di rendere per scritto, cosa peraltro non facile, l’esperienza con un vino appartenente a una categoria nella quale non mi capita quasi più di imbattermi. Questo l’ho trovato stappato a una tavola a cui ero stato invitato.
Sangiovese e Cabernet Sauvignon con affinamento in legno.
Colore rubino molto scuro, di primo acchito non diresti che è un Sangiovese, cosa che per un Sangiovese non è promettente, alla cieca lo avrei detto un pugliese di fascia bassa.
Naso con poca spinta, ci sono ricordi di frutti a bacca scura, cacao, legumi, chiodo di garofano ed erbacei. Al palato non mostra particolare vigoria. Acidità blanda, tannini non pervenuti, tocco morbido di scarsa durata, sembra un vino pensato principalmente per non infastidire nessuno e che termina senza lasciare nessuna suggestione. Espressività e fedeltà alla tipologia decisamente ai minimi.
In estrema sintesi lo potrei definire un vino inespressivo ed inoffensivo.
Il Sagrantino è tannico. Questo di Caprai non fa eccezione ed è tannico e criticarlo, come a volte capita, per il tannino non è certo proficuo. Sagrantino 100 percento, elevazione in barrique per 22 mesi e poi bottiglia.
Il colore è piuttosto scuro, quasi impenetrabile. Profumi principalmente di frutto a bacca scura, chiodo di garofano, ricordi mentolati e di tabacco. Di media intensità. Ha volume, corpo, acidità moderata e sviluppa una buona dinamica di gusto forte di un frutto ben concentrato che gli consente di essere un vino che non soccombe alla densità e alla forza dei tannini e a non essere semplicemente tannico, ed è tannico, e questo senza indulgere in dolcezza e soprattutto con una esemplare compattezza Da non bere all’aperitivo, ma già questo 2016 potrebbe completare una tavola dove c’è un Istrice in Umido o, dal momento che cucinare l’istrice è illegale, anche un più banale Cinghiale.
Sagrantino di Montefalco Collepiano 2016 – Arnaldo Caprai
Sagrantino is tannic. This one from Caprai is no exception and is tannic and criticizing it, as sometimes happens, for its tannin is certainly not profitable. 100 percent Sagrantino, fermented in barrique for 22 months and then bottled.
The color is rather dark, almost impenetrable. Aromas mainly of dark berry fruit, clove, mentholated notes and tobacco. Of medium intensity. It has volume, body, moderate acidity and develops a good dynamic of strong taste of a well concentrated fruit which allows it to be a wine that does not succumb to the density and strength of the tannins and not to be simply tannic, and it is tannic, and this without indulge in sweetness and above all with exemplary compactness Not to be drunk as an aperitif, but already this 2016 it could complete a table where there is a Stewed Porcupine or, since cooking porcupine is illegal, even a more banal Wild Boar.
Me l’avevavo consigliato più volte. Mi capita finalmente l’occasione di comprare due bottiglie dell’annata 2013, così da rispettare la regola personale dei 10 anni, e lo provo. “Cazzo! Che bel Vino!” penso subito al primo approccio e sento di essermi perso qualcosa in questi anni di bevute. Barbaresco di stampo tradizionale con lunga macerazione in cemento e invecchiamento in botte grande. Da Vigne le cui uve venivano un tempo conferite a un noto collega (si comprende bene il motivo). Vino di rare luminosità e intensità olfattiva, ripenso a quanto esclamò un amico annusando un famoso Sangiovese “sembra un profumo…” e non aggiungo altro. Ci sono reminiscenze nitide di Melograno, chinotto, rosa canina, floreale delicato, ma anche più defilati ricordi di erbe aromatiche e balsamici. Riconoscibile e molto fedele. Del melograno ha pure l’impatto tattile al palato. Sottile, pieno di energia, alcol giusto, porta in bocca questo frutto dolce, ultrapimpante e tonico che si accoppia meravigliosamente con l’abbondante acidità e i bei tannini profilanti. Sorso definito, lungo, arioso.
Che bel vino! (ripetere più volte…)
Barbaresco 2013 – Cascina Roccalini
I had recommended it several times. I finally have the opportunity to buy two bottles of the 2013 vintage, so as to respect the personal 10 year rule, and I try it. “Fuck! What a beautiful wine!” I immediately think of the first approach and feel like I’ve missed something in these years of drinking. Traditional Barbaresco with long maceration in cement and aging in large barrels. From Vigne whose grapes were once given to a well-known colleague (the reason is clear). A wine of rare brightness and olfactory intensity, I think back to what a friend exclaimed when smelling a famous Sangiovese “it looks like a perfume…” and I don’t add anything else. There are clear reminiscences of pomegranate, chinotto, dog rose, delicate floral, but also more secluded memories of aromatic herbs and balsamics. Recognizable and very loyal. It also has the tactile impact of pomegranate on the palate. Subtle, full of energy, right alcohol, it brings this sweet, ultra-perky and tonic fruit into the mouth which pairs wonderfully with the abundant acidity and the beautiful profiled tannins. Defined, long, airy sip.
“C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico” cantava il poeta. Se sostituiamo al sole la nebbia, sembra proprio il succo di quel che si scopre esplorando i 17 banchi di assaggio di La rivoluzione a Montespertoli, giovane, piccola e (lo dico a posteriori) preziosa manifestazione a cui L’Enonauta si affaccia con curiosità in una silenziosa domenica novembrina, ovattata da quella sottile nebbiolina autunnale che non può che incentivare la voglia di colorare l’anima dal di dentro con qualche buon calice. Come se ce ne fosse bisogno…
Lo slogan rivoluzionario è meno peregrino di quel che si possa maliziosamente pensare di fronte a una qualsiasi invenzione di marketing. Si respira davvero un’atmosfera lontana dal mainstream fieristico, e non solo per la dimensione e l’affluenza molto contenuta della mattina, ma anche nelle parole più sottolineate e, soprattutto, nei calici degustati. Quella di Montespertoli è una rivoluzione che guarda contemporaneamente ai due orizzonti, solo apparentemente opposti, del passato e del futuro, così come nell’Associazione dei Viticoltori di Montespertoli, promotrice dell’iniziativa, convivono le radici della tradizione vinicola artigianale del territorio e l’energia propulsiva, innovativa e contagiosa delle nuove generazioni che stanno guidando questa nuova stagione. L’Associazione stessa rinasce sulle ceneri di una precedente non fortunatissima esperienza.
Del resto la bipolarizzazione ci pare anche la caratteristica più tangibile dell’identità enologica del territorio di Montespertoli, che è il comune più vitato della Toscana e il maggior produttore di Chianti DOCG del mondo, ma soffre forse di un deficit di identità a causa delle divisione tra due sottozone che finora hanno faticato a integrarsi in una strategia comune: quella più consolidata del Chianti Colli Fiorentini DOCG e quella del Chianti Montespertoli DOCG.
Alla ricerca di un nuovo spazio di comunicabile riconoscibilità nel panorama affollato del vino toscano i 17 viticoltori associati e presenti in fiera stanno ora tracciando, e assai velocemente, una strada che da una parte sembra riportare alle proprie origini, alla valorizzazione dell’identità territoriale, alla naturalezza dei processi, al rapporto gioioso tra vino e convivialità, rifiutando di farsi condizionare dalle tendenze del ricco mercato internazionale che tanto ha influito sullo sviluppo della toscana enologica, e dall’altra aprono a uno spazio di creatività con tantissime escursioni fuori disciplinare che colpiscono per varietà e livello qualitativo in un range tanto contenuto di produttori e territorio. Il tutto sempre nel segno della freschezza e della piacevolezza ma senza eccessi di semplificazione, e con prezzi che restano mediamente in un range che non appesantisce i pensieri. Insomma, vini per gente a cui piace bere più che cincischiare, ma che il vino ce l’ha nel sangue e non si accontenta facilmente.
Via allora alla rivalutazione dell’uso della bacca bianca nel Chianti, in particolare con le interpretazioni del Castello di Sonnino, che realizza un Chianti Montespertoli in ammirevole equilibrio tra ricchezza e bevibilità, e quella di Valleprima che con malvasia e trebbiano va a a ingentilire una riserva, il suo Chianti Riserva DOCG Terre d’Argilla, di estrema freschezza.
E il trebbiano ha una sua bella parte in scena. Tra le interpretazioni del trebbiano in purezza da ricordare, anzi da bere, per la gustosa coesistenza di ricchezza di frutto e sapidità almeno l’autunnale Virginio di Sonnino, ma anche il più estivo Cantagrillo di La Leccia. Discorso a parte per Lupinella Bianca, il trebbiano di Lupinella, cantina che rimette nel circolo della propria produzione enologica l’antica arte familiare della lavorazione dell’argilla e dalla vinificazione in otri di terracotta estrae un vino di sorprendente espressività. Espressività che è il tratto comune dei vini della cantina, a partire dall’allegro e leggero entry level dei rossi, Il Lupinello da 1 litro (sangiovese, canaiolo e, anche qui, trebbiano), fino all’intenso, lungo e verticale Sangiovese IGT.
Lupinella, che sfoggia le etichette esteticamente più belle dell’interno novero dei presenti, condivide anche la palma di banco più sorprendente della giornata con quello della Fattoria Bonsalto: un progetto, quest’ultimo, partito appena nel 2020 (in passato il vino prodotto era destinato all’autoconsumo o ad altri imbottigliatori della zona) che già esprime una personalità stupefacente in ogni sorso,. Una batteria di cinque vini in degustazione, tutti ricavati da varietà di uva autoctone e tutti capaci di alimentare sorpresa, gioia e desiderio; cito per emblematicità il risultato raggiunto da Primo Marzo, elisir di uva boggione rosso maturato in anfora e che in bocca sviluppa una narrativa succosissima e originale.
Dentro il solco di una tradizione rassicurante per qualità ormai stratificata, stanno i vini della famiglia Gallerini cinque generazioni di viticoltori, che dal 1945 ha trovato stanza nella Tenuta Barbadoro, regno soprattutto del Sangiovese, proposto in diverse interpretazioni. All’iniziatore Serafino è dedicato un Chianti Docg da manuale, trionfante di frutti rossi, ai due fondatori della tenuta sono intitolati rispettivamente il robusto Chianti Montespertoli DOCG II° Guido e, unica concessione all’internazionalità, il denso ed elegante merlot Ottavino, prodotto in tremila bottiglie.
Varrebbe la pena sostare con qualche parola su ognuno di questi produttori di temperamento autentico. Mi limito a ricordare ancora un paio di bottiglie da stappare per testare la versatilità di questi territori: Dolico, l’estivo beverino viogner di Le Fonti a San Giorgio, e il Rosso IGT di Montalbino, praticamente un’antologia in vetro dei vitigni autoctoni, con Fogliatonda e Canaiolo a fare da protagonisti, Sangiovese e Colorino a spalleggiare.
Concludo per brevità ricordando due cantine che a mio parere si aggiudicano un riconoscimento che, in questi tempi di rincari spesso irragionevoli, si distinguono, in controtendenza, con una linea di prodotti di prezzo molto contenuto rispetto alla qualità espressa dalle loro bottiglie, e a noi viene da leggerlo come un gesto di amicizia e fratellanza per noialtri poveri innamorati del buon bicchiere in tavola tutti i giorni a pranzo e a cena, e a volte anche a merenda. Si tratta di Podere Guiducci, coi suoi rossi (come usa d’obbligo ormai dire almeno sette o otto volte al giorno, e io non l’ho ancora fatto) croccanti, e per le Fattorie Parri, dalla cui offerta spiccano il Chianti Montespertoli e, soprattutto, un gran vin santo che in un trionfo di frutta secca lascia spazio a sentori rinfrescanti e balsamici, pericolossimi per chi non si intimidisce di fronte alla possibilità di aprire e finire la bottiglia in pomeriggio; magari accanto a una fragrante crostata casalinga, anch’essa da seccare in un sol boccone, e alla fine leccare le briciole, sgrondando nel calice, felici, le ultime gocce della boccia.
Vivo e lavoro con i libri e tra i libri ma sotto sotto penso in ogni istante a cosa si potrebbe mangiare e bere di buono alla prima occasione. Dei posti in cui sono stato bene amo parlarne con entusiasmo agli amici. Adesso anche qui.
Degustazione Barolo 2016 – Un fantastico venerdì 17 in buona compagnia e con sei Barolo da annata favorevole con abbondanza di vini moderni e piccola rappresentanza di tradizionali. Tre da cru, tre classicamente solo annata.
Da uve in Berri e Capalot, 24 mesi in botte e grande e bottiglia.
Chiaro, lineare, con spiccati rimandi agrumati, di ribes e rosa, moderatamente speziati e di bitter. Sorso ben definito, si sviluppa intorno all’asse fresco/tannica, in modo piuttosto fluente, ordinato e con ottimo finale dove tornano la scorza di arancio e il bitter. Manca forse del guizzo che lo renda unico, o più semplicemente particolare, ma è un vino ben fatto, piacevole già adesso. Un vino che riberrei.
Barolo Neirane 2016 – Agostino Bosco
Vigna in Verduno, acciaio e poi prima barrique e tonneau e a seguire botte grande.
Un Barolo dalla forza oscura, imbrigliata, in attesa del momento di essere liberata del tutto. Mi fa pensare per analogia al brano “Electric Funeral” dei Black Sabbath (accostamento ovviamente elogiativo) come il vino precedente ai Whitesnake, o ai Guns and Roses come mi hanno corretto i compagni di tavolo, volendo abusare delle canzoni hardrock come riferimento. Colore scuro, note predominanti di marasca matura e prugna, muschio, eucalipto, balsamiche e terrose. Al palato mostra una certa densità, struttura, pienezza, tannini non spigolosi, ma ben presenti. Un vino brulicante di forze che per il momento non hanno ancora trovato equilibrio. Al momento lo consiglierei solo con piatti di grande struttura.
Barolo Bricco Luciani 2016 – Mauro Molino
Macerazione breve e fermentazione in acciaio 18 mesi in barrique.
Il meno complesso dei sei. Che può essere al contempo un pregio oppure un disincentivo in relazione a cosa cerca il bevitore. Colore rubino scuro, ricordi di resine, vaniglia, prugna e ciliegia, cenere spenta e note di tostato. Porta ben chiari i segni dell’elevamento in legno. Sorso agevole, di medio corpo, il più vellutato dei sei con un centrobocca ricco, torna molto frutto, sembra aver già raggiunto un buon punto di equilibrio con tannini ingentiliti e acidità ben diffusa.
Barolo Gattera 2016 – Mauro Veglio
Vigna a La Morra. Prima acciaio e poi 24 mesi in barrique per il 30% nuove.
Un vino che spicca per precisione ed equilibrio. Per quanto non possa considerare questo genere di Barolo tra quelli del cuore trovo in questo vino chiarezza di intenti e ottima esecuzione. Colore di media intensità, bouquet bello con suggestioni che spaziano dalla ciliegia e dall’arancia al chiodo di garofano, dal mentolo alla vaniglia, con ricordi di erbe aromatiche e di viola. Vino misurato al palato che ha uno sviluppo gustativo per cui spenderei il controverso termine elegante. Una bella progressione, generale levigatezza e buon corpo in un quadro di vitalità e tonicità. Vino quasi risolto, con bel finale sapido e rinfrescante.
Barolo 2016 – F.lli Barale
Da vigneti situati nel comune di Barolo: Coste di Rose, Preda e Monrobiolo. 3 anni in botti di rovere dai 15 ai 30 hl.
Con questo vino fanno festa gli amanti del Barolo tradizionale. Si innesca all’istante quella zona del cerebro sensibile alle stimolazioni del Barolo un po’ austero, un pochino rustico, ma anche gentile con la sua fruttuosità delicata. Traslucido granata, profumatissimo, rose e arancia navel, melograno, timo, genziana. Non complessissimo però netto e intenso. Vino dalla freschezza appuntita, asciutto nella forma, con tannini di carattere e una qualità di gusto eccellente e molto persistente per un effetto generale rinfrancante.
Barolo 2016 – Giacomo Grimaldi
Dalle vigne Terlo in Barolo e Sottocastello di Novello. 8/10 giorni di macerazione a temperatura controllata in acciaio. Fermentazione malolattica in barrique. Affinamento per 12 mesi in barrique francesi (25% nuove), e 12 mesi in botte grande, blend in acciaio per 8 mesi.
Barolo d’impatto, penalizzato forse dall’essere l’ultima bottiglia degustata, ma è apparso un vino poco dinamico. Colore scuro, un corredo aromatico orchestrato su registri cupi, non molto vivaci, dove a predominare sono i rimandi all’elevazione in legno come la vaniglia, le essenze orientali, il tabacco e con le fragranze fruttate di prugna e floreali in secondo piano. Ingresso con calore e densità, tocco vellutato, finale su frutto-spezie, un po’ monolitico, non molto dinamico come premesso.
Che ci dice questa serata? Che l’annata 2016, questa è una conferma, ci ha consegnato mediamente ottimi vini. Ci dice anche che in compagnia si beve meglio e si vive bene e che la faziosità è quasi sempre un limite e che il buono, si parla in questo caso di stili di vinificazione, sta nel moderno e nel classico. Basta saper accorgersene.
Degustazione Barolo 2016 – Barolo Tasting 2016
Barolo Tasting 2016 – A fantastic Friday 17th in good company and with six Barolos from a favorable vintage with an abundance of modern wines and a small representation of traditional ones. Three from cru, three classically single vintage.
What does this evening tell us? This is a confirmation that the 2016 vintage gave us excellent wines on average. It also tells us that in company we drink better and live well and that bias is almost always a limit and that the good, in this case we are talking about winemaking styles, lies in the modern and the classic. You just need to know how to notice it.
La perfezione di un’opera la potrebbe definire intimamente il suo autore valutando lo scarto tra la realizzazione e l’urgenza iniziale che ne determinò la volontà della realizzazione. Ecco, questa bottiglia di Bucerchiale 2016 ha uno scarto decisamente ridotto tra quanto io in anni di ripetuti stappi ho immaginato essere il vertice espressivo raggiungibile da questo vino in relazione a quello che ho pensato potesse essere l’idea originaria di questa etichetta. Un pensiero parziale, unilaterale, da bevitore, ma senza alcun timore di esagerare questo è uno dei miei candidati ideali per i 100 punti se mai mi dedicassi a valutare i vini in punti.
Sangiovese della Rufina con passaggio in legno piccolo.
Veste più chiara del solito, raggiante granato e si parte al naso con quel che si potrebbe respirare in una strada costeggiata da cipressi in un caldo pomeriggio di giugno (la resina fresca per chi non apprezza i giri di parole) e poi il rosmarino, la scorza d’arancia, ciliegia e meno pronunciate note balsamiche, di prugna, sottobosco, ematiche. Un vino dai ricordi olfattivi intensi e nitidi con un sorso che non ha una virgola fuori posto. Incisivo, espressivo, vitale, risolto, rara profondità e il tutto su registri meno cupi di alcune recenti annate. Ogni elemento sembra intimamente fuso dentro al vino, che ha persistenza e qualità di gusto di assoluto valore e un finale frutto/mentolato molto arioso.
Un grande classico del bere Toscano che non bisogna mai sottovalutare.
The perfection of a work could be intimately defined by its author by evaluating the gap between the realization and the initial urgency that determined the desire for its realization. Here, this bottle of Bucerchiale 2016 has a decidedly small gap between what, over years of repeated uncorking, I imagined to be the expressive peak achievable by this wine in relation to what I thought could be the original idea of this label. A partial, one-sided, drinker’s thought, but without any fear of exaggerating this is one of my ideal candidates for 100 points if I ever get down to rating wines in points.
Sangiovese della Rufina with small wood passage.
It has a lighter appearance than usual, radiant garnet and it starts on the nose with what you might breathe in a street lined with cypress trees on a hot afternoon in June (the fresh resin for those who don’t appreciate mincing words) and then the rosemary, the orange peel, cherry and less pronounced balsamic, plum, undergrowth and blood notes. A wine with intense and clear olfactory memories with a sip that doesn’t have a comma out of place. Incisive, expressive, vital, resolved, rare depth and all in less dark registers than some recent years. Each element seems intimately fused within the wine, which has persistence and taste qualities of absolute value and a very airy fruity/mentholated finish.
A great classic of Tuscan drinking that should never be underestimated.
A spingere il suo natante di tappi di sughero, nel grande mare delle cose del vino, sono il vento della curiosità, la “sete di conoscenza” e il piacere di condividere la mensa e la bottiglia. Non ha pregiudizi, non teme gli imprevisti, cambia volentieri idea, beve tutto con spirito equanime pur conservando le sue preferenze.
E questo blog è un diario di bordo a più voci, fatto di sensazioni e mai di giudizi. Sensazioni irripetibili, racconti di cantina, note di degustazione, percezioni talvolta chiare e talvolta oscure, non discorso sul vino, ma discorso dal vino e nel vino. Con l’umiltà di chi sa bene che il dominio dell’ancora da scoprire è vasto, che le bottiglie di vino sono tante e ci vuole molto impegno per berle tutte.
Sostanza, molta sostanza, e precisione per questo Barolo di Eraldo Viberti da La Morra. Colore di media concentrazione molto luminoso, con ricordi di scorza di arancia, eucalipto, marasca, erbe medicinali, spezie un accenno, cosi come i sentori resinoso/tostati sono appena percepibili. Il tutto con grande generosità e pulizia. Sorso altrettanto generoso, caldo, voluminoso, caratterizzato da spiccata piacevolezza di beva, scorrevolezza, integrità, misurata acidità e tannini ben scolpiti. Buono da bersi adesso, ma anche in prospettiva 2028. Altra bella interpretazione dell’annata 2015 (qui un altro esempio) per l’azienda di La Morra. Annata che è sì buona, ma non esente da rischi sulla distanza.
Barolo Rocchettevini 2015 – Eraldo Viberti
Substance, a lot of substance, and precision for this Barolo by Eraldo Viberti from La Morra. Very bright medium concentration colour, with hints of orange peel, eucalyptus, morello cherry, medicinal herbs, a hint of spices, just as the resinous/toasted hints are barely perceptible. All with great generosity and cleanliness. Equally generous sip, warm, voluminous, characterized by a marked drinking pleasure, smoothness, integrity, measured acidity and well-sculpted tannins. Good to drink now, but also in 2028. Another beautiful interpretation of the 2015 vintage (here is another example) for the La Morra company. A good year, yes, but not without risks over distance.