Premetto che il Chianti Classico 2016 “Al Limite” di San Leonino da Castellina in Chianti non è sicuramente il miglior Chianti Classico che ho bevuto nella mia vita, ma ne ho pagati di più molti che erano meno entusiasmanti di questo e financo meno “territoriali”, tanto per utilizzare un termine abusato, anzi spesso proprio straziato.
Sangiovese 100 per cento, in acciaio e poi 18 mesi tra cemento e botti da 30 hl.
Colore rubino vivo, di media concentrazione. Al naso è giustamente intenso con profumi fedeli al vitigno di viola, marasca, lampone, ricordi di arancia, qualche ricordo speziato. Secco, schietto di carattere, molto fresco al palato, l’acidità è copiosa e affilata, fa da sponda un coerente e gentile ritorno del frutto, persistente in modo apprezzabile.
Viene un po’ penalizzato sul finale da un tannino un po’ rigido, ma il giudizio generale e più che positivo.
Let me start by saying that the Chianti Classico 2016 “Al Limite” from San Leonino da Castellina in Chianti is certainly not the best Chianti Classico that I have drunk in my life, but I have paid more for many that were less exciting than this one and even less “territorial” , just to use an overused, indeed often downright mangled, term. 100 percent Sangiovese, in steel and then 18 months in cement and 30 hl barrels. Bright ruby colour, of medium concentration. The nose is rightly intense with aromas faithful to the vine of violet, morello cherry, raspberry, hints of orange, some spicy notes. Dry, straightforward in character, very fresh on the palate, the acidity is abundant and sharp, supported by a coherent and gentle return of the fruit, persistent in an appreciable way. It is a little penalized on the finish by a slightly stiff tannin, but the overall opinion is more than positive. Unquestionably advantageous value for money.
– Pinot Noir Bourgogne Haute-Côte de Beaune 2018 Domaine du Lycée Viticole
Pochi giorni fa a Verona ho cenato presso L’Antica Bottega del Vino. Mentre mi rinfrancavo con gli ottimi piatti della tradizionale cucina veneta, essendo solo, ho scelto di bere al calice. Chiacchierando con il competente ed accogliente sommelier ho optato per lo Champagne di André Beaufort Brut Reserve Ambonnay (che non bevevo da qualche tempo) e successivamente un Pinot Noir di Borgogna, precisamente l’Haute Côte de Beaune Domaine Lycée Viticole 2018 (conosciuto, ma non bevuto in precedenza). Innanzi tutto grandi complimenti per il coraggio di tenere (o aprire su richiesta) vini del genere, poiché é sempre più difficile (con le dovute eccezioni del caso) trovare al calice vini di un certo calibro e fuori dalle principali rotte commerciali o modaiole.
Lo Champagne di Beaufort si presenta con un bel colore giallo paglierino brillante. Al naso è molto delicato e non troppo espressivo, con accenni di fiori bianchi, polpa di agrumi e lievitazione. Buon perlage, piuttosto fine, presente e persistente. Al palato è spiazzante. Attacca morbidissimo, cremoso, riempie la bocca con una dolcezza che si percepisce non derivante semplicemente da dosaggi zuccherini elevati, come accade purtroppo ormai in moltissimi champagne (Beaufort utilizza infatti solo lieviti indigeni e zuccheri naturali come il mosto d’uva o il succo d’uva concentrato sia per il tirare che per il dosage). Al contempo è fresco e vivo grazie alla bella acidità e ad una sapidità sferzante che ripulisce il palato e giocando da contraltare al bilanciamento della spiccata morbidezza. Grande persistenza e chiusura con una piacevole e leggera nota ossidativa.
I vini di André Beaufort (tra i pionieri del naturale/biodinamico/biologico nella Champagne) non sono per tutti e non sono certamente accademici. Ma ben vengano anche bollicine come queste che escono dagli schemi tradizionali ingessati da un eccessivo lavoro di cantina e dosaggi che uccidono il vino e la sua possibilità di espressione. Per esperienza con Beaufort si rischia di bere una grandissima bottiglia (sopratutto vecchi millesimi o vecchie sboccature) ma talvolta anche una bottiglia piuttosto squilibrata. La frase “ogni bottiglia è diversa” è estremamente calzante. L’importante è sapere cosa si cerca da una bottiglia di vino, visto anche che i prezzi non sono propriamente economici.
Il Bourgogne Haute-Côte de Beaune 2018 della scuola vitivinicola di Beaune è invece un Pinot Noir a dire poco didattico. Tipico rosso rubino un pò scarico e trasparente. Al naso piccoli frutti rossi croccanti, prugna, ciliegia, viola, accenni speziati. Al palato é secco e fresco, con un pregevole bilanciamento tra morbidezza e verticalità. Bella acidità e mineralità, tannini delicatissimi e vellutati, corpo snello ma presente. Chiude il sorso piuttosto lungo, con un bel sentore di radice di liquirizia. Molto elegante, equilibrato e di ottima beva. È un vino buonissimo da bere ora, senza aspettare troppo per non perderne la fragranza. Tutto quello che ci si potrebbe aspettare da un giovane Pinot Noir di Borgogna prodotto da un Lycée Viticole. È certamente un base, non molto complesso e giovane, ma stiamo parlando di Côte d’Or ad un rapporto qualità-prezzo impressionante. Andate a vedere il prezzo sul sito del produttore (diverso sarà se lo troverete online o a scaffale in qualche enoteca) ed a quel punto, dopo averlo assaggiato, vi sembrerà un piccolo miracolo che si trasforma in vino quotidiano.
Sono nato a Roma nel 1977. Il mio animo nomade mi ha portato a Milano, Perugia e successivamente in Svizzera. Sono pedagogista-educatore, counsellor e sommelier, percorsi intrapresi con impegno, fatica, ma soprattutto passione. Ad oggi vivo a Lugano e lavoro per l’Organizzaione Sociopsichiatrica Cantonale. Amo viaggiare comodamente, leggere prima di addormentarmi, vedere bei film, mangiare bene, ascoltare jazz, ed ovviamente bere buon vino. Quando riesco a fare almeno due di queste cose contemporaneamente, insieme alle persone a me care, mi sento felice.
È un vero piacere tornare a scrivere di un vino dell’azienda Zahar (dalla Valle del Breg – tra l’altopiano carsico e l’Istria) a distanza di un paio di anni.
Azienda che ebbi la fortuna di visitare e che conobbi alcuni anni fa a Cerea in un contesto in cui i loro vini spiccarono nonostante la compresenza di grandi nomi.
Friulano, Malvasia e Vitovska per un vino profumato, preciso e dal gusto intenso che conferma Zahar come una delle realtà più approcciabili e convincenti nel novero di quelle che lavorano in bio/biodinamico/naturale.
Colore giallo paglierino molto luminoso (sul colore dei vini di Zahar già dissi qualcosa qui)
Si susseguono sentori fruttati di pesca e melone, camomilla e ginestra, ricordi erbacei.
Si caratterizza al palato per il buon corpo, la densità, seppur secco, una risposta quasi rugosa che ne prolunga il gusto, l’equilibrio.
Bene a tavola, molto bene con lo Spaghetto alla Bottarga (in foto).
Soncek 2019 – Zahar Venezia Giulia IGT
It is a real pleasure to return to writing about a wine from the Zahar company (from the Breg Valley – between the Karst plateau and Istria) after a couple of years. A company that I was lucky enough to visit and that I met a few years ago in Cerea in a context in which their wines stood out despite the co-presence of big names.
Friulano, Malvasia and Vitovska for a fragrant, precise and intensely flavored wine that confirms Zahar as one of the most approachable and convincing realities among those who work in bio/biodynamic/natural. Very bright straw yellow color (I already said something about the color of Zahar’s wines here) Fruity hints of peach and melon, chamomile and broom, herbaceous hints follow one another. It is characterized on the palate by its good body, density, although dry, an almost wrinkled response which prolongs its taste and balance. Good at the table, very good with Spaghetto alla Bottarga (in the photo).
Tra le cose che allietano e rendono memorabile la giornata di un appassionato di vini c’è sicuramente l’arrivare alla fine di una faticosa ascesa, figlia in spalla, verso una malga (in questo caso Malga Cere, raggiungibile da una strada forestale, o in alternativa da un sentiero, che si dipanano dalla strada che conduce al Passo Manghen – Trentino) e trovare una selezione di vini interessanti. Tra cui Esegesi 2016 di Eugenio Rosi (Vallagarina IGT)
Lo bevo senza avere ulteriori informazioni oltre quelle di etichetta e confesso di aver pensato a una percentuale di Merlot superiore rispetto a quella che ho poi scoperto esserci realmente in questo vino. In virtù della sua fine espressività, pur rimanendo nel quadro di un vino corposo e caldo.
Cabernet Sauvignon 80 e Merlot 20.
Lieviti indigeni, lunga macerazione in acciaio, legno e cemento. 24 mesi in rovere di diverse dimensioni.
Colore rosso scuro, intenso profumo di mora, resine, cacao, muschio, vagamente etereo, al palato attacca caldo e vellutato, con tannini smussati, sviluppa molto volume, ma non lèsina in freschezza. Finale buono, centrato su frutto scuro e spezie dolci.
Vino confortante, magari un po’ troppo alcolico, che probabilmente trova la sua collocazione ottimale accanto a un piatto di selvaggina.
Esegesi 2016 di Eugenio Rosi
Among the things that cheer up and make the day of a wine enthusiast memorable there is certainly arriving at the end of a tiring ascent, daughter on the shoulder, towards a mountain hut (in this case Malga Cere, reachable from a forest road, or alternatively from a path, which unravels from the road that leads to Passo Manghen – Trentino) and find a selection of interesting wines. Including Exegesi 2016 by Eugenio Rosi (Vallagarina IGT)
I drink it without having any further information beyond that on the label and I confess that I thought of a higher percentage of Merlot than what I later discovered was actually in this wine. By virtue of its fine expressiveness, while remaining within the framework of a full-bodied and warm wine.
Cabernet Sauvignon 80 and Merlot 20.
Indigenous yeasts, long maceration in steel, wood and concrete. 24 months in oak of different sizes.
Dark red colour, intense aroma of blackberry, resins, cocoa, musk, vaguely ethereal, warm and velvety on the palate, with smooth tannins, develops a lot of volume, but does not skimp on freshness. Good finish, centered on dark fruit and sweet spices.
A comforting wine, perhaps a little too alcoholic, which probably finds its best place alongside a game dish.
Dalle colline a nordest di Rovereto uno tra i più considerati tra i Pinot Nero italiani bevuto nel più orrendo dei bicchieri, l’unico disponibile sul momento, dimostrazione che si può godere della bontà di un vino in qualunque contenitore. Vino per chi pensa che in Italia si possano fare e bere ottimi pinot nero. Quelli che pensano che non si possa e finiscono sempre nel paragone con la Borgogna fanno meglio a bere solo la Borgogna. Il Pinot Nero 2016 di Elisabetta Dalzocchio.
Questo 2016 rinverdisce il ricordo della prima bottiglia che mi fece interessare all’azienda di Elisabetta Dalzocchio.
Fermentazione con lieviti indigeni in tino aperto a seguire 18 mesi in legno. Chiaro e luminoso il colore, al naso è lineare e nitido, fragolina di bosco, arancia, bitter (ovvero erbe aromatiche), vagamente boisee.
Vino apprezzabile nella sua giovane esuberanza, energia da vendere, fresco e tannico, non lo si può apprezzare al momento per l’equilibrio, ma lo si può apprezzare per la presenza, per l’intensità e la lunghezza, per il sospetto che tra qualche anno, anche se tutte le volte che mi ritrovo a pronunciare queste parole finisco per fare gli scongiuri, potrà dare grandi soddisfazioni a chi ne avrà messa da parte qualche bottiglia.
Pinot Nero 2016 – Dalzocchio Vigneti delle Dolomiti IGT
From the hills north-east of Rovereto, one of the most considered Italian Pinot Noirs drunk in the most hideous of glasses, the only one available at the moment, proof that you can enjoy the goodness of a wine in any container. Wine for those who think that excellent pinot noir can be made and drunk in Italy. Those who think it can’t be done and always end up comparing it to Burgundy are better off drinking only Burgundy. Elisabetta Dalzocchio’s Pinot Noir 2016.
This 2016 revives the memory of the first bottle that made me interested in Elisabetta Dalzocchio’s company.
Fermentation with indigenous yeasts in open vats followed by 18 months in wood. The color is clear and bright, the nose is linear and clear, wild strawberry, orange, bitter (i.e. aromatic herbs), vaguely woody.
A wine appreciable in its young exuberance, energy to spare, fresh and tannic, it cannot be appreciated at the moment for its balance, but it can be appreciated for its presence, for its intensity and length, for the suspicion that in a few year, even if every time I find myself saying these words I end up begging, it will be able to give great satisfaction to those who have saved a few bottles.
Quando compro una bottiglia per me ignota e alla fine sono soddisfatto il piacere è doppio. Al piacere del buon vino si affianca il piacere della scoperta che spesso è viatico verso altre piacevoli scoperte. È successo con il Fiano di Avellino di Colli di Lapio.
Il colore è giallo intenso dalla luminosità rara. All’apertura tappo e bottiglia porgono suggestioni che potrebbero sulle prime far pensare a un Riesling. Al naso è molto intenso con sentori di mela, passiflora, anice, cedro, noce del Brasile, come premesso presenta ricordo di pietra focaia.
Vino secco e morbido, di buona struttura, coerente e ricco, denso al palato, giustamente sapido e persistente.
Ci sono molte cose in questo vino, come in un racconto dove abbondano le subordinate e la narrazione si snoda in molteplici simultanee direzioni, senza mai risultare ridondante od opulento.
Qualita e convenienza.
Fiano di Avellino 2015 – Colli di Lapio by Romano Clelia
When I buy a bottle that is unknown to me and in the end I am satisfied, the pleasure is double. The pleasure of good wine is accompanied by the pleasure of discovery which is often a viaticum towards other pleasant discoveries. It happened with the Fiano di Avellino from Colli di Lapio.
The color is intense yellow with a rare brightness. Upon opening the cap and bottle they offer suggestions that might at first make you think of a Riesling. On the nose it is very intense with hints of apple, passion flower, anise, cedar, Brazil nut and, as mentioned, has a hint of flint.
Dry and soft wine, with good structure, coherent and rich, dense on the palate, rightly savory and persistent.
There are many things in this wine, as in a story where subordinates abound and the narrative unfolds in multiple simultaneous directions, without ever appearing redundant or opulent.
Da qualche tempo ho rivalutato le mezzette, cominciando ad acquistarne qualcuna, in particolare Borgogna e Bordeaux. Le mezze bottiglie, troppo spesso bistrattate, trovo invece siano un modo intelligente per poter assaggiare più vini (sopratutto se costosi) e contenere la spesa. Oggi ho aperto con piacere questo Pastourelle 2009 (Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 36%, Cabernet Franc 11%, Petit Verdot 2%, Carmenére 1%), secondo vino dello Châteaux Clerc Milon. Siamo nel cuore di Pauillac, poco distanti da Château Lafite Rothschild. Nel 1970, intuendone le potenzialità, fu proprio il Barone più famoso del mondo enoico, ad acquistare i 16 ettari della tenuta, divenuti nel frattempo 40.
Il colore è un rosso rubino carico, impenetrabile, con bellissimi riflessi cremisi. Naso molto complesso, intenso e persistente di viola, sottobosco, funghi, tartufo nero, spinta balsamica e finale mentolato.
Al palato attacca piuttosto morbido e consistente, con evidente intensità estrattiva la quale viene bilanciata da una buona freschezza ed un tannino estremamente levigato ed elegante. Chiude con un finale sulla liquirizia, stranamente un pò corto.
Personalmente ho apprezzato questa bottiglia più di molti altri secondi vini (ma anche alcuni primi) di Châteaux più blasonati.
Non è semplicissimo trovarlo, ma se vi capita di scovarlo ad un prezzo onesto (come nel mio caso) è decisamente un ottimo affare per assaporare un Pauillac 2009 senza svenarsi.
Pastourelle 2009 Pauillac – Châteaux Clerc Milon
For some time now I have re-evaluated mezzettes, starting to buy some, in particular Burgundy and Bordeaux. Half bottles, too often mistreated, I find instead to be an intelligent way to be able to taste more wines (especially if they are expensive) and reduce spending. Today I was pleased to open this Pastourelle 2009 (Cabernet Sauvignon 50%, Merlot 36%, Cabernet Franc 11%, Petit Verdot 2%, Carmenére 1%), second wine from Châteaux Clerc Milon. We are in the heart of Pauillac, not far from Château Lafite Rothschild. In 1970, sensing its potential, it was the most famous Baron in the wine world who purchased the 16 hectares of the estate, which in the meantime had become 40.
The color is a deep, impenetrable ruby red with beautiful crimson reflections. Very complex, intense and persistent nose of violet, undergrowth, mushrooms, black truffle, balsamic push and mentholated finish.
The attack is rather soft and consistent on the palate, with evident extractive intensity which is balanced by good freshness and extremely smooth and elegant tannins. It closes with a liquorice finish, strangely a little short.
Personally I appreciated this bottle more than many other second wines (but also some first ones) from more famous Châteaux.
It’s not easy to find it, but if you happen to find it at a fair price (as in my case) it’s definitely an excellent deal to enjoy a 2009 Pauillac without breaking the bank.
Sono nato a Roma nel 1977. Il mio animo nomade mi ha portato a Milano, Perugia e successivamente in Svizzera. Sono pedagogista-educatore, counsellor e sommelier, percorsi intrapresi con impegno, fatica, ma soprattutto passione. Ad oggi vivo a Lugano e lavoro per l’Organizzaione Sociopsichiatrica Cantonale. Amo viaggiare comodamente, leggere prima di addormentarmi, vedere bei film, mangiare bene, ascoltare jazz, ed ovviamente bere buon vino. Quando riesco a fare almeno due di queste cose contemporaneamente, insieme alle persone a me care, mi sento felice.
Questo vino dà l’impressione di essere stato pensato e poi realizzato in modo consequenzialmente felice. In relazione alla tipologia e al prezzo potrebbe anche risultare entusiasmante. Ricorda a tratti un rosato per la poca intensità del colore che è rosso vivissimo, vira sul viola talvolta nel bicchiere, sembra giovane e in effetti lo è, ha profumi di lampone e viola, qualche appena percepibile nota di tostatura, spezie delicate. Levità e precisione.
Piacevole e ben fatto, ha ancora bei legami col frutto da cui discende, che a tratti sembra di masticare, molto vitale, tirato, asciutto, con un tannino di considerevole forza seppure evoluto. Un vino giovane e con un carattere ben definito. Non capita spesso.
Mi ricorda a tratti, senza paragone alcuno e solo per la suggestione generale, certi Chianti Classico di Lamole. Andrebbe bene anche se a qualcuno un certo chianti classico di Lamole ricordasse questo Etna Rosso.
Etna Rosso 2019 – Pietradolce
There are wines that offer great satisfaction at reasonable prices. Here we find ourselves in front of one of these wines. Etna Rosso 2019 by Pietradolce.
Nerello Mascalese grown on the northern side of the mountain. 18 days of maceration and three months in wood.
This wine gives the impression of having been conceived and then created in a consequentially happy way. Depending on the type and price it could also be exciting. At times it recalls a rosé due to the lack of intensity of the color which is very bright red, it sometimes turns purple in the glass, it seems young and in fact it is, it has aromas of raspberry and violet, some barely perceptible notes of toasting, delicate spices. Lightness and precision.
Pleasant and well made, it still has good links with the fruit from which it comes, which at times feels like chewing, very vital, tight, dry, with a tannin of considerable strength albeit evolved. A young wine with a well-defined character. It doesn’t happen often.
It reminds me at times, without any comparison and only for the general suggestion, of certain Chianti Classicos from Lamole. It would also be fine if a certain classic Chianti from Lamole reminded someone of this Etna Rosso.
Pranzo da Amerigo a Savigno con Tignanello 2016, Turriga 2015, Agrapart les 7 crus, Macon Verze 2018 – Domaine Leflaive
Talvolta sono dubbioso sul raccontare giornate in cui si stappano quelle bottiglie che polarizzano il pubblico dei bevitori tra entusiasti e polemici acritici. In questo caso si aggiunge anche il tema del BYOB o del diritto di tappo che sempre desta pareri contrastanti.
Andò che partimmo in quattro da Pistoia con quattro bottiglie alla volta della Trattoria da Amerigo in quel di Savigno. Locale fuori dal tempo e dalle traiettorie turistiche dove si sperimenta ogni volta un riuscito connubio di tradizione, tecnica culinaria, amore per il territorio.
Abbiamo inziato con:
Champagne Brut Agrapart & Fils Les 7 Crus sbocc. 2020
Scolastico in senso buono. Lineare, sembra avere più a che fare col vino che con la dosatura, al naso e al palato, e per questo a me piaciuto assai. Brillantissimo giallo, bolla finissima e duratura, ha struttura, acidità flessuosa, sentori di mela, nespola, ananas, ricordi di erbe mediche e spezie, cedro appena accennato, così come appena accenati sono i rimandi al lievito. Al palato mostra una buona struttura, equilibrio, intensità di gusto, sapidità e ottima persistenza. L’Azienda Agrapart non poteva inventare viatico migliore ai propri Champagne.
Mâcon Verzé 2018 – Domaine Leflaive
Delude un po’. Monocorde, citrino, verticale, viene da pensare ciò che non ho mai piacere di pensare ovvero che magari qualcuno nel 2040 lo troverà godibile, ma intanto? Intanto ha una acidità che non passa inosservata, come un raggio laser verde nel cielo di notte, nessun difetto, abbozza qualche timido tentativo di allargare il ventaglio olfattivo, ma in realtà non si va oltre il citrino, la mela selvatica, in bocca è secco e fresco, ma tende un po’ a defilarsi. Nelle lumache in realtà aveva trovato ottime compagne di viaggio verso lo stomaco, ma su quattro persone al tavolo nessuno si mostrò entusiasta. Nemmeno il gentilissimo cameriere tirato in causa a dire la sua.
Tignanello 2016 – Antinori – Pranzo da Amerigo a Savigno
Per me Tignanello in una delle sue migliori annate. Nonché una delle migliori bottiglie di vino toscano che abbia avuto la fortuna di stappare. Al momento e in prospettiva. Finezza ed energia, Molto sangiovese, arancio tarocco, lavanda, marasca, qualche ricordo speziato. Ingresso ad effetto, volume, profondità, è un vino ancor giovane dall’acidità distribuita, ma su tutto al momento svetta un tannino elettrico, dalla trama fitta, nobile. Il finale è sul frutto maturo e le spezie, ma non è un finale per quanto dura. Lunga vita davanti a questo vino. Per tanti sembrerà impossibile, ma è un vino che racconta bene la Toscana più di tanti altri vini per descrivere i quali si abusa del termine “territorialità”.
Turriga 2015 – Argiolas – Pranzo da Amerigo a Savigno
Vino di grande energia, possente, grande dotazione di tutto. Colore rubino scuro, ciliege sotto spirito, mora, erbe aromatiche, remiscenze di cuoio e di affumicati. Il sorso è molto caldo, da meditazione lo preferirei all’Amarone per una sua più spiccata freschezza. Vino di grande impatto, intenso, corposo, si rasenta il corpo a corpo, con tannini ben maturati. Il finale è coerente e tornano la frutta sotto spirito, il mirto. Col coscio di daino affumicato fu amore.
Colgo l’occasione di ringraziare tutto lo staff della Trattoria da Amerigo di Savigno (BO) che ci ha accolti con le nostre bottiglie e ci ha offerto un saggio di grande cucina, gentilezza e di professionalità non comuni.
Teroldego? No, grazie. È quello che ho risposto di frequente di fronte alle carte dei vini trentini. Troppo grosso, potente, esplosivo, saporito e profumato. Spesso alterato dal legno, molto alcolico e sospinto sempre più verso dimensioni muscolari e orizzontali. Il Granato 2013 di Elisabetta Foradori, non a caso soprannominata la regina del Teroldego, è tutta un’altra cosa. Soli quattro ettari suddivisi per tre parcelle, terreno alluvionale ghiaioso-ciottoloso, fermentazione in grandi tini aperti, poi 15 mesi di botte. Regime rigorosamente biodinamico dalla metà degli anni ’80.
Il colore è un rosso rubino scurissimo e impenetrabile. Naso abbastanza intenso e molto complesso che approccia in apertura i frutti a bacca rossa maturi, amarena sotto spirito, spezie, cuoio giovane e una folata di balsamico-mentolato finale.
Il grandissimo equilibrio che contraddistingue questo vino, si fa sentire al primo sorso. L’attacco è morbido, fluido, freschissimo ed il finale, non molto lungo, è minerale e sapido. Tannino sottilissimo e levigato, l’alcolicità piuttosto bassa per il vitigno (12.5%) trattiene forse un pò le redini del suo potenziale di espressione nel finale.
Il Granato 2013 è un vino pronto, buonissimo e dotato di grande bevibilità (anche se potrebbe restare in cantina ancora per diverso tempo). Alla cieca è un vino che metterebbe in difficoltà moltissime persone. Il colore ricorda infatti un bellissimo Bordeaux, mentre al palato la sua leggiadria, eleganza e l’equilibrio (quasi) perfetto, ricorda un Borgogna con non troppi anni sulle spalle.
Elisabetta Foradori è una donna molto elegante, colta e determinata. La sua azienda, che ho visitato nel 2017, è molto bella, accogliente e racconta di vini artigianali allo stato puro, storie di persone, terra e vite.
L’unico neo di questo vino, a mio avviso, è il prezzo. La fascia di collocamento é troppo alta almeno di una categoria e questo fattore potrebbe giocare brutti scherzi a livello di aspettative. Per questo non posso dire che il rapporto qualità prezzo sia una delle sue migliori prerogative.
Da provare con carré di agnello, funghi e patate al forno.
Granato 2013 – Elisabetta Foradori
Teroldego? No thank you. This is what I have frequently answered when faced with Trentino wine lists. Too big, powerful, explosive, tasty and fragrant. Often altered by wood, very alcoholic and increasingly pushed towards muscular and horizontal dimensions. The Granato 2013 by Elisabetta Foradori, not surprisingly nicknamed the queen of Teroldego, is something else entirely. Only four hectares divided into three parcels, gravelly-pebbly alluvial soil, fermentation in large open vats, then 15 months in barrel. Strictly biodynamic regime since the mid-1980s.
The color is a very dark and impenetrable ruby red. Quite intense and very complex nose which approaches ripe red berries in the opening, black cherry in alcohol, spices, young leather and a final gust of balsamic-menthol.
The great balance that distinguishes this wine is felt at the first sip. The attack is soft, fluid, very fresh and the finish, not very long, is mineral and savory. Very thin and smooth tannin, the rather low alcohol content for the grape variety (12.5%) perhaps holds back the reins of its potential for expression a little in the finish.
The 2013 Granato is a ready-made wine, very good and highly drinkable (even if it could remain in the cellar for some time yet). Blindly it is a wine that would put many people in difficulty. The color is in fact reminiscent of a beautiful Bordeaux, while on the palate its gracefulness, elegance and (almost) perfect balance are reminiscent of a Burgundy with not too many years behind it.
Elisabetta Foradori is a very elegant, cultured and determined woman. His company, which I visited in 2017, is very beautiful, welcoming and tells of pure artisanal wines, stories of people, land and lives.
The only flaw about this wine, in my opinion, is the price. The placement range is too high by at least one category and this factor could play tricks on expectations. For this reason I cannot say that the quality/price ratio is one of its best prerogatives.
Try it with rack of lamb, mushrooms and baked potatoes.
Sono nato a Roma nel 1977. Il mio animo nomade mi ha portato a Milano, Perugia e successivamente in Svizzera. Sono pedagogista-educatore, counsellor e sommelier, percorsi intrapresi con impegno, fatica, ma soprattutto passione. Ad oggi vivo a Lugano e lavoro per l’Organizzaione Sociopsichiatrica Cantonale. Amo viaggiare comodamente, leggere prima di addormentarmi, vedere bei film, mangiare bene, ascoltare jazz, ed ovviamente bere buon vino. Quando riesco a fare almeno due di queste cose contemporaneamente, insieme alle persone a me care, mi sento felice.