Tanto ho apprezzato questo vino che mi sembra un peccato raccontarlo riducendolo a una successione di dettagli tecnici anche se condivido l’idea che sia comunque utile e, a suo modo, divertente.
Vigneto con esposizione sud-est frutto di una selezione operata da Ettore Germano. Lunga macerazione, invecchiamento in legni diversi per capienza e numero di passaggi. Un anno in bottiglia.
Vino caratterizzato dalla dualità radicale innescata dalla sua potenza/struttura e dalla gentilezza del frutto. Vino di nerbo, ma con un’anima delicata…
Dopo averlo sturato e versato nel bicchiere la fragranza si avverte a un metro di distanza. Un bel ventaglio di profumi tra cui l’Anguria, la cenere bianca, il rosmarino, la genziana, le rose e il mentolo.
Potenza ben dispiegata, struttura importante. L’acidità è dritta, un tannino, mai rustico, che ti rincorre ovunque, con un sapore che è una delizia, una vitalità che a mio avviso è garanzia di un futuro di qualita. Sapido, quasi salino, finale esaltante con frutti rossi, scorza d’arancio, bitter.
Ricordo che assaggiai il Brunello Ugolaia 2016 dell’azienda Lisini in un paio di occasioni nel 2022 ricavandone l’impressione di una grande promessa, di un vino potenzialmente eccelso con un tempo adeguato a trovare la giusta risoluzione.
Ebbene: cos’è successo in questi tre anni a questo vino? Direi ben poco e Ugolaia resta tuttora una enorme promessa.
Trattasi ovviamente di Sangiovese vinificato in cemento e successivamente invecchiato per 48 mesi in botti da 20 ettolitri.
Cos’è successo dunque? Poco, ma non nulla. Se nel 2022 si intravedevano per fattura, precisione di tratto ed energia espressa delle potenzialità di evoluzione vaste, adesso il vino, seppure ancora giovane, ha cominciato a sviluppare profondità di gusto.
Il colore è granato fitto. Al naso c’è molto frutto rosso, così come le viole e le erbe aromatiche, l’anice e la felce e poi note balsamiche e ematiche. Bello e mai monotono.
Acidità brillante e tesa, struttura, potenza senza sbavature, tannini rigorosi e una persistenza aromatica impressionante. Dando sempre l’impressione di essere sempre sul punto di rivelare qualcosa di ulteriore e sempre coeso, preciso ed espressivo.
Parlando di Brunello di Montalcino è certo uno dei migliori che abbia mai assaggiato e in tal senso a mio parere, per fedeltà e interpretazione della tipologia, merita il massimo della valutazione. In punti, stelle, tappi di sughero o a vite.
Brunello di Montalcino Ugolaia 2016 – Lisini
I remember tasting the Lisini winery’s Brunello Ugolaia 2016 on a couple of occasions in 2022 and getting the impression of a great promise, a potentially excellent wine with enough time to find the right resolution. Well: what has happened to this wine in these three years? I would say very little and Ugolaia still remains an enormous promise.
It is obviously Sangiovese vinified in cement and subsequently aged for 48 months in 20 hectoliter barrels.
So what happened? A little, but not nothing. If in 2022 one could glimpse vast potential for evolution in the workmanship, precision of line and expressed energy, now the wine, although still young, has begun to develop depth of flavor.
The color is dense garnet. On the nose there is a lot of red fruit, as well as violets and aromatic herbs, anise and fern and then balsamic and blood notes. Beautiful and never monotonous.
Bright and taut acidity, structure, flawless power, rigorous tannins and an impressive aromatic persistence. Always giving the impression of always being on the verge of revealing something further and always cohesive, precise and expressive.
Speaking of Brunello di Montalcino it is certainly one of the best I have ever tasted and in this sense in my opinion, for faithfulness and interpretation of the typology, it deserves the highest evaluation. In points, stars, corks or screw caps,
Si tratta ovviamente di Chardonnay trovandosi in Borgogna, più precisamente nel Mâconnais.
Un po’ di legno e un po’ di bottiglia e, essendo Jean Jacques Robert uno dei portabandiera più famosi del vino naturale, nessun intervento in cantina.
Il Vino è decisamente particolare. Di colore giallo chiaro, velato e con sedimenti.
Al naso è senz’altro ricco di sfumature con ricordi netti di Pera, Bergamotto, Mango, spezie assortite, un po’ di pinolo/resina di pino, molto fragrante, ma non preciso. Può importare o meno, ma va detto. Quantitativamente i profumi non mancano, c’è un vorticare che mi fa ricordare il Casino Organizzato di Eugenio Fascetti nel Varese dei primi anni ottanta: nessun punto di riferimento.
Tutto trova conferma nel sorso che è animato da acidità fluente e decisa e ha spessore, una certa “granulosità” tattile, uno sviluppo di gusto costante e prolungato. Scordarsi vini piatti e sfuggenti così come i vini naturali approssimativi. Poggiato su una tavola imbandita stupisce per la sua straordinaria flessibilità nell’accompagnarsi alle preparazioni culinarie.
Saint-Véran Les Pommards 2021 Vieilles Vignes – Domaine Robert-Denogent
It is obviously Chardonnay being in Burgundy, more precisely in the Mâconnais. A little wood and a little bottle and, being Jean Jacques Robert one of the most famous standard-bearers of natural wine, no intervention in the cellar.
The wine is decidedly particular. Light yellow in color, cloudy and with sediments.
On the nose it is certainly rich in nuances with clear memories of Pear, Bergamot, Mango, assorted spices, a little pine nut/pine resin, very fragrant, but not precise. It may or may not matter, but it must be said. Quantitatively the aromas are not lacking, there is a swirl that reminds me of the Casino Organizzato of Eugenio Fascetti in Varese in the early eighties: no point of reference.
Everything is confirmed in the sip that is animated by flowing and decisive acidity and has thickness, a certain tactile “granularity”, a constant and prolonged development of taste. Forget about flat and elusive wines as well as approximate natural wines.
Placed on a laid table it amazes for its extraordinary flexibility in accompanying culinary preparations.
Terre di Toscana non si batte. Nel caso si apprezzi il vino Toscano nelle sue varie declinazioni ed interpretazioni non esiste nessun altro festival, fiera, evento di settore che soddisfi il palato e la curiosità di chi, per lavoro o per passione, si interessa del vino toscano. Il meglio è tutto riunito nello spazio di due sale e la forza di questo appuntamento, giunto ormai alla XVII edizione, è la densità critica di vini di qualità tanto da dover trascurare necessariamente anche vini davanti ai quali normalmente non ci si tirerebbe mai indietro. Bello, no?
Formula così testata e ben riuscita che spesso si ritrovano i nostri produttori preferiti al solito posto, anno dopo anno.
Che si può dire del giro di assaggi? – Terre di Toscana 2025
I rossi di Montalcino 2023, annata definita unica nella sua difficoltà, danno indicazioni confortanti. Sarà forse poco, ma probabilmente buono.
Assaggiati degli ottimi Brunello, sia 2020 e riserva 2019. Alcuni ottimissimi. Ciò che io personalmente ricorderò a lungo saranno i vini di Gianni Brunelli – Le Chiuse di Sotto, la veemenza profumiera dei Brunello di Podere Giodo, Percarlo 2021 di San Giusto a Rentennano e il bottiglione di Percarlo 2010 il cui assaggio ha “rinverdito il brivido blu” di una bottiglia bevuta qualche anno fa, Cappella Sant’Andrea e Colombaio di Santa Chiara che tengono alta, altissima la bandiera della Vernaccia di San Gimignano e Cianferoni da Radda – Caparsa per le cui bottiglie ho esaurito le parole di elogio. E poi altri e altri ancora che avranno la possibilità di essere riassaggiati in altre occasioni.
Ritorno a stappare un Lugana Orestilla dell’azienda Montonale con grande entusiasmo (l’ultima volta un 2018) e lo ritrovo come sempre: un Vino di grande caratura.
100% Turbiana che fermenta in acciaio, 8 mesi sulle fecce, 10 mesi in bottiglia.
Veste luminosa giallo cromo chiaro, potrebbe sembrare un vino fatto di luce. Al naso presenta un bel ventaglio di fragranze, mettendo insieme agrumi e fiori gialli come il narciso, sentori di spezie e reminiscenze di vegetale aromatico, quelle cose che si sentono passeggiando nella macchia in giugno, non mancano poi ricordi di drupe, di miele di timo. Il tutto orchestrato con generosa precisione.
Vino dall’acidità pronunciata, puntuta. Di buon corpo. Il 2018 lo ricordavo molto fresco, ma di una freschezza più larga, dilagante. Fanno da contrappunto densa morbidezza, un quid di dolcezza di frutto, ma il leitmotiv resta l’anima fresca. Alcol misurato per un bilanciamento molto apprezzabile. Vino prezioso, un vero gioiello del buon bere italiano, dalla persistenza leggendaria.
Prezzo in crescita, ma ancora incentivante.
Lugana Orestilla 2020 – Montonale
I return to uncork a Lugana Orestilla from the Montonale company with great enthusiasm (the last time was a 2018) and I find it as always: a wine of great caliber.
100% Turbiana fermented in steel, 8 months on the lees, 10 months in the bottle.
Luminous light chrome yellow dress, it could seem like a wine made of light. On the nose it presents a beautiful range of fragrances, bringing together citrus fruits and yellow flowers such as narcissus, hints of spices and reminiscences of aromatic vegetal, those things that you feel when walking in the scrub in June, then there are memories of drupes, of thyme honey. All orchestrated with generous precision.
Wine with pronounced, pointed acidity. Good body. I remembered the 2018 as very fresh, but with a broader, more pervasive freshness. They act as a counterpoint to dense softness, a hint of fruity sweetness, but the leitmotif remains the fresh soul. Measured alcohol for a very appreciable balance. Precious wine, a true jewel of good Italian drinking, with legendary persistence.
Sangiovese dalle varie tenute in cui si trovano i 50 ettari vitati dell’Azienda Altesino. Due anni di invecchiamento in legno e quattro mesi di affinamento in bottiglia.
Valutando questa singola bottiglia, conservata in condizioni di luce e umidità costante a casa mia fin da poco dopo l’uscita, direi che questo Brunello 2015 di Altesino era da stappare adesso. Volendo un anno fa, magari tra un anno, ma la finestra è quella giusta. Voglio aggiungere che l’annata in questo caso è stata interpretata in modo magistrale, senza sbavature alcoliche e surmaturazioni. E che è sempre bello stappare una bottiglia intercettata nel giusto momento.
Il colore tende al traslucido, integro e lucente, tra il granato e il mattone.
Il tratto dominante è il frutto maturo con il cassis in testa, ma non mancano fragranze assortite a partire dalla foglia di Lauro e di mirto, l’arancia tarocco, non mancano ricordi balsamici, di terra smossa, di tabacco.
Vino sornione con ingresso calibrato. Media la densità, largo in bocca, risulta convincente e assai piacevole grazie alla coesione, all’equilibrio raggiunto, alla profondità. Innesca una brillante progressione di gusto senza disturbi, intoppi di nessun genere per un disegno generale tutto su toni caldi, avvolgenti.
Un vino decisamente risolto.
Brunello di Montalcino 2015 – Altesino
Sangiovese from the various estates where the 50 hectares of vineyards of the Altesino Company are located. Two years of aging in wood and four months of refinement in the bottle. Evaluating this single bottle, stored in conditions of constant light and humidity at my house since shortly after its release, I would say that this Brunello 2015 by Altesino should have been uncorked now. A year ago if you like, maybe in a year, but the window is the right one. I would like to add that the vintage in this case has been interpreted in a masterly way, without alcoholic blemishes and over-ripening. And that it is always nice to uncork a bottle intercepted at the right moment.
The color tends to be translucent, intact and shiny, between garnet and brick. The dominant trait is the ripe fruit with cassis in the lead, but there is no lack of assorted fragrances starting from the laurel and myrtle leaf, the tarocco orange, there is no lack of balsamic memories, of loose earth, of tobacco.
A sly wine with a calibrated entrance. Medium density, broad in the mouth, it is convincing and very pleasant thanks to the cohesion, the balance achieved, the depth. It triggers a brilliant progression of taste without disturbances, hitches of any kind for a general design all on warm, enveloping tones. A decidedly resolved wine.
Grazie a un gentile invito abbiamo l’opportunità di gettare uno sguardo all’evento My Spirits, realizzato il 3 marzo al Teatro Cartiere Carrara di Firenze da Partesa, distributore del gruppo Heineken. Si tratta di una iniziativa rivolta alla clientela del settore ho.re.ca. (hotel, ristoranti e caffetterie), a metà tra la degustazione e l’intrattenimento, e come tale da giudicare.
La sala dominata da un grande palco rialzato su cui si avvicendano per dei brevi showcase alcuni dei bartender e barlady più in vista della scena della mixology italiana, trasmette l’atmosfera della festa.
Sul perimetro di quella che ordinariamente sarebbe la platea stanno i desk di 21 diversi fornitori di Partesa che propongono in degustazioni una scelta dei loro prodotti in purezza, per un totale di oltre cento referenze (si va dal gin alla vodka, dal rum al whisky, dalla grappa al mezcal, eccetera). Al centro della sala gli stessi fornitori allestiscono sedici mixology station con cocktail realizzati con i loro prodotti. Al piano superiore si tengono un paio di conversazioni (chiamate, forse con un pelo di enfasi in eccesso, masterclass) rispettivamente su aperitivi e agave.
Non staremo qui a parlare delle singole referenze degustate ma ne approfittiamo per segnalare almeno alcune note salienti che emergono dall’evento.
1.Essendo un evento dedicato a un segmento commerciale ben preciso, la selezione dei produttori va decisamente verso etichette e prodotti amichevoli, poco complessi, da conversazione più che da meditazione, e decisamente orientati alla mixology. Non mancano però prodotti che testimoniano una profondità di catalogo orientata anche verso una clientela più esigente (tra quel che ho provato, da ricordare almeno il London Dry Gin Disonesto e, soprattutto, il venerabile single malt Macallan 12 y.o. Double Cask) e che speriamo siano serviti a infondere un po’ più di coraggio in baristi e ristoratori nella compilazione della carta degli spirits per i propri locali, al passo di quanto si sta consolidando nell’offerta dei vini;
2. È sempre più evidente la crescente attenzione al mondo dei distillati da agave, la cui selezione in sala era infatti sicuramente la più interessante e non limitata a prodotti più tenui adatti per la mixology, rimarcata dalla proposta all’interno del programma di una piacevole conversazione/degustazione con Gabriele Riva, Brand Ambassador degli agave Altos e Del Maguey;
3.Ho trovato apprezzabile la scelta di arricchire la linea di prodotti denominata Liq.ID (prodotta direttamente per Partesa e composta perlopiù da spirits per la miscelazione) con alcune referenze da somministrazione che si segnalano per un competitivo rapporto qualità/prezzo, in particolare il Vermouth di Torino e l’Amaro Ottanta, che certo non sfigurano al confronto con la gran parte dei prodotti da banco che vanno per la maggiore in bar e ristoranti, anzi;
4. Mai avrei detto di poter riconoscere un senso non solo commerciale all’offerta di premiscelati di un mega-distributore e invece… che dire? La scelta di cocktail ready-to-drink alla spina della linea Mixum certo non andrà accostata alle creazioni che i vari Julian Biondi, Cinzia Ferro, Giuliana Giancano e Bruno Vanzan proponevano dal bar allestito sul palco del teatro ma mi è sembrata una sicura scialuppa di salvataggio, ripensando ai vari velenosissimi spritz, gin tonic, gin lemon ecc. propinati in alcuni circoletti di periferia (e non solo) da baristi meno che improvvisati. Sinceramente mi pare una soluzione più che consigliabile per chi non ha un bartender abbastanza affidabile e per situazioni di grande affollamento ed esigenze di servizio rapido (penso soprattutto ai bar dei concerti o degli eventi sportivi).
Alla fine me ne vado, lo ammetto: un po’ barcollante, rigorosamente a piedi, osservando con scrupolo i precetti della campagna #bevoenonguido sostenuta da Partesa, che accompagna i tanti inviti alla responsabilità con la distribuzione in abbondanza di etilometri usa-e-getta, la cui diffusione gratuita in tutti i luoghi della ristorazione e della vita notturna sarebbe probabilmente più utile alla diffusione di un consumo consapevole rispetto a tanti terrorismi psicologici basati su multe e sanzioni spaventose.
Cantina in Barbaresco. 4,5 ettari, impostazione classica. 20 mesi in botti e un anno in bottiglia.
Stappo, verso e c’è qualcosa che mi parla di un vino surmaturo. Però mi sbaglio. È solo il preponderante carattere etereo del vino che mi trae in inganno.
Il colore è granato fitto e l’arieggiamento rende percepibili piacevoli sentori di arancia amara o Melangolo, carruba e ribes, terra secca, pellame a contorno della dominante Eterea.
In bocca il vino risulta strutturato, caldo e denso, con decisa impronta alcolica non dovuta a mio avviso semplicemente alla gradazione, ma anche alla sua “presenza” che a tratti rende il sorso un po’ faticoso. Vigoroso fino quasi alla Virulenza. Al netto di questo alcol forse eccessivo, in bocca emerge un’anima più fruttata, durevole e salda grazie a una acidità viva e a tannini rigorosi.
Per mio parere, troppo alcool e poco bilanciamento.
Barbaresco Ovello 2016 – Cascina Morassino
Cellar in Barbaresco. 4.5 hectares, classic setup. 20 months in barrels and a year in bottle.
I uncork, pour and there is something that tells me of an overripe wine. But I am wrong. It is only the predominant ethereal character of the wine that deceives me. The color is dense garnet and the aeration makes pleasant hints of bitter orange or Melangolo, carob and currant, dry earth, leather perceptible as a side dish to the dominant Eterea.
In the mouth the wine is structured, warm and dense, with a strong alcoholic imprint not due in my opinion simply to the alcohol content, but also to its “presence” that at times makes the sip a bit tiring. Vigorous almost to Virulence. Despite this perhaps excessive alcohol, a more fruity, long-lasting and solid soul emerges in the mouth thanks to a lively acidity and rigorous tannins.
In my opinion, too much alcohol and not enough balance.
Nicholas Altare è un vignaiolo contemporaneo, al passo coi tempi. Gestisce le vigne di famiglia nella sottozona San Luigi di Dogliani facendo proprie le istanze di quella parte del mondo del vino che, sensibile ai cambiamenti climatici e alle nuove sfide che essi impongono al vignaiolo, s’impegna per ottenere vini più salubri e bevibili.
Tra le sue proposte questo Dogliani 2021 splendente, un Dolcetto chiaro ed essenziale, e sono veramente soddisfatto dell’essere riuscito nella testimonianza fotografica, fragrante, ampiamente floreale e con ricordi di mora e chiodi di garofano, meno pronunciati sentori di erbe aromatiche e humus.
Il profilo è netto, delineato, tracciato con parsimonia di segni, ma con abbondante energia e profondità. Freschezza incisiva, tannini grintosi ben governati (e non è cosa da poco parlando di Dolcetto), secco, risoluto, persistente.
Nicholas Altare is a contemporary winemaker, in step with the times. He manages the family vineyards in the San Luigi sub-zone of Dogliani, making his own the demands of that part of the wine world that, sensitive to climate change and the new challenges that they impose on the winemaker, is committed to obtaining healthier and more drinkable wines.
Among his proposals this splendid Dogliani 2021, a clear and essential Dolcetto, and I am truly satisfied with having succeeded in the photographic testimony, fragrant, largely floral and with hints of blackberry and cloves, less pronounced hints of aromatic herbs and humus.
The profile is clear, delineated, traced with parsimony of signs, but with abundant energy and depth. Incisive freshness, well-controlled gritty tannins (and this is no small thing when talking about Dolcetto), dry, resolute, persistent.
Fabien Duperray è un ex négociant di vini pregiati. Jules Chauvet era uno dei più eminenti studiosi francesi della vinificazione e sostenitore del vino naturale. A lui il primo dedica la sua azienda allora che decide di acquisire dei terreni tra il Mâconnais e Beaujolais. Niente tecnologia, molta attenzione.
È un vino che sa decisamente di Mâcon. Di Chardonnay di Mâcon. Vinificazione e affinamento in acciaio.
Colore concentrato, reminiscenze di orzo, mango e menta in prima battuta. Seguono note speziate e infine gessose e citrine. Sa farsi apprezzare.
Al palato è lussureggiante, strutturato, ricco di suggestioni e sapori. L’acidità ben diffusa e ha buona Tenuta per un’esperienza di gusto molto piacevole e convincente ad un prezzo, tipico degli Chardonnay del Mâcon, molto conveniente.
Domaine Jules Desjourneys – Mâcon-Fuissé Bois de La Croix 2020
Fabien Duperray is a former negociant of fine wines. Jules Chauvet was one of the most eminent French scholars of winemaking and an advocate of natural wine.
Duperray dedicated his company to him when he decided to acquire land between Mâconnais and Beaujolais. No technology, lots of attention.
It is a wine that definitely tastes of Mâcon, of Chardonnay from Mâcon. Vinification and aging in steel.
Concentrated colour, reminiscences of barley, mango and mint at first sight. Followed by spicy and finally chalky and citrine notes. He knows how to be appreciated.
On the palate it is lush, structured, rich in suggestions and flavours. The acidity is well spread and has good stability for a very pleasant and convincing taste experience at a very affordable price, typical of Mâcon Chardonnays.